giovedì 31 dicembre 2009

Una macchina comunale più snella ed efficiente

Ridotto il numero dei “ settori”

Nel corso di un incontro che l’Amministrazione Comunale ha tenuto con i cittadini, il Sindaco Olivetti ha comunicato l’avvenuto avvio di una profonda modifica nell’organizzazione della macchina comunale, che passa attraverso queste fasi:
- sostituzione del Segretario Comunale;
- riduzione del numero dei settori mediante accorpamento dei due settori tecnici e finanziari;
- digitalizzazione del protocollo comunale, che quindi da cartaceo diviene informatico, rendendo più rapide le operazioni e riducendo il consumo di carta;
- nuova organizzazione del lavoro degli operai, con l’istituzione della figura del “capo-squadra” che non si raccorda più con il responsabile dell’ufficio tecnico ma direttamente con l’assessore ai Lavori Pubblici, al quale giungono le segnalazioni, e che funge da coordinatore dei lavori.
Il Sindaco ha anche annunciato che si procederà presto al riposizionamento degli uffici secondo la disposizione originaria (ufficio tecnico vicino all’ufficio urbanistica ed ufficio tributi vicino all’ufficio ragioneria).
E’ indubbio che questa riorganizzazione contribuirà a rendere più snella la macchina comunale.
Modello in legno del Palazzo Comunale,
realizzato dall'artigiano Mario VerzoliniSi libereranno inoltre risorse da destinare ad altre mansioni, vedi ad esempio il responsabile lavori pubblici che, liberato dall’impegno di coordinare gli operai, ha ora la possibilità di redigere progetti interni all’Ente, riducendo i notevoli costi delle consulenze esterne, cui si era fatto ricorso in passato (geometri, architetti, ingegneri ecc…).
Il dimezzamento del numero dei Capi-Settore, porterà inoltre ad una evidente riduzione dei costi per le spese del personale. Tra l’altro, recentemente, la Corte dei Conti, proprio su questa voce di bilancio, ha rilevato che negli ultimi 5 anni il costo del personale è passato da €. 1.462.000 del 2004 ad €. 1.591.000 del 2008 con un incremento di €. 129.000 (+ 8,8%) e ciò in contrasto con quanto prevede l’art. 1, comma 557, della legge 296/2006, che impone ai Comuni di assicurare la riduzione delle spese di personale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocratico/amministrative.
Va dato merito a questa Amministrazione di aver saputo affrontare sin da subito la questione individuando soluzioni idonee. Il provvedimento della riduzione dei Capi-Settore assume ancora maggior valore se si pensa che, a suo tempo, la decisione di aumentare il numero dei settori era stata assunta sul finire degli anni ‘90, quasi al termine del mandato, dalla Giunta Morganti, di cui facevano parte, come assessori, l’attuale Sindaco e alcuni componenti della Giunta odierna.
Auspichiamo che questo cambiamento sia solo un primo passo verso un nuovo modo di concepire il funzionamento degli uffici comunali che dovrà rispondere sempre di più a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, premiando solamente coloro che raggiungono i risultati prefissati ed escludendo dai benefici chi non li raggiunge, ponendo fine alla consueta pratica degli incentivi “a pioggia”.
Questo rappresenta per noi un segnale positivo che ci fa ben sperare per il futuro
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Stefano Neri - Bruno Landi

La parola agli immigrati

Siamo convinti che la conoscenza reciproca, fatta di ascolto e rispetto vicendevoli, sia una grande opportunità per le persone che hanno origine e cultura diverse. Ci siamo fatti raccontare da alcuni nostri concittadini le loro storie di emigrazione. A quelle affianchiamo ora altre storie, di immigrati nella nostra città. Storie diverse e simili al tempo stesso, pur nel variare dei tempi, delle provenienze e delle direzioni.
Testimonianze su cui riflettere e, senza pregiudizi, orientare i nostri comportamenti.
***
Isvet Pograxha è di Durazzo ed è il primo albanese ad essere arrivato ad Ostra, il 6 luglio 1991. In uno di quei traballanti barconi della speranza che ogni giorno attraversavano l’Adriatico, è giunto a Brindisi. Erano in 40 e un prete li accolse in un campeggio. Con lo “smistamento” Isvet finì a Taranto da dove venne trasferito ad Ancona. Qui ancora un prete dell’Istituto “Buon Pastore” gli diede assistenza e lo informò che ad Ostra una impresa edile cercava manodopera, così che si trasferì nella nostra città. Pograxha ricorda con riconoscenza Don Dario Barbaresi, allora arciprete parroco di Santa Croce: “Per me ha pensato a tutto: davvero un prete e un uomo straordinario”.
Era già sposato, Isvet, quando giunse in Italia. La moglie lo raggiunse successivamente. Dei due figli, nati in Italia, il più grande, Matteo, frequenta con buon profitto il liceo scientifico e il babbo assicura che si iscriverà alla Università. Anche i genitori di Isvet, che da anni lavora in fabbrica, sono qui con la sua famiglia. E da sei mesi circa Pograxha è cittadini italiano.
Si sente ancora, comunque, molto legato al suo Paese, dove ritorna una volta all’anno a trascorrere le vacanze. Pensa però di rimanere per sempre in Italia, della quale è innamorato. “Un Paese meraviglioso, dove mi sono perfettamente integrato” senza problemi. Conclude affermando che in nessun’altra parte d’ Italia si potrebbe stare meglio che ad Ostra.
Ilir Prendi, albanese di Lushnje, una città che dista circa 100 chilometri dalla capitale Tirana, è arrivato in Italia nel 1994, naturalmente spinto dalla necessità di trovare un lavoro e crearsi un futuro migliore.
Dopo un breve periodo trascorso a Cingoli, è arrivato nella nostra città, dove tutt’ora risiede con la sua famiglia. Era già sposato Ilir quando, molto giovane, è arrivato in Italia, dove è vissuto per circa due anni da solo. La moglie lo ha raggiunto dopo la nascita, in Albania, del figlio Amarildo, che oggi gioca nelle “giovanili” dell’Ostra Calcio.
La loro seconda figlia è nata nella nostra città.
Ilir Prendi, in Albania, dopo aver frequentato le scuole superiori, si era iscritto ad Ingegneria meccanica; ha imparato presto la nostra lingua, non ha avuto alcuna difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Oggi è un operaio metalmeccanico in forza ad una importante azienda locale.
“In Italia mi trovo benissimo”, anche se ammette di sentire un po’ di nostalgia per il suo Paese, dove ogni anno comunque si reca per trascorrere le ferie.
Ritiene di non aver avuto problemi di integrazione, anche se gli piace stare con la sua gente, parlare la sua lingua, per non perdere definitivamente il legame con la sua terra.
Infatti, Ilir non sa se il suo futuro sarà per sempre in Italia. E’ qui con i suoi familiari, i figli che frequentano le nostre scuole e che, con ogni probabilità, qui si fermeranno.
Forse questo renderà un po’ più difficile per lui tornare per sempre in Albania.

Mensur Verria da 17 anni vive in Italia. Sei anni a Milano, “dove ho fatto diversi mestieri” e poi dal 1999 ad Ostra, dove è stato raggiunto dalla moglie Vjollca (Viola in italiano) e dai suoi tre figli. Anche Mensur, come Ilir Prendi, è un albanese di Lushnje.
Dal 2003 è imprenditore edile. Fa parte di una cooperativa di cinque soci, che dà lavoro a sei operai. “Il lavoro va abbastanza bene”.
Non si lamenta, quindi, Mensur, che sembra non risentire più di tanto della gravissima crisi che attanaglia il settore. Nella lunga chiacchierata, a tutto campo, facciamo più di una incursione sull’Albania del tempo che fu, quella di Enver Hoxha, e su quella di oggi, di cui Mensur dice: “un Paese che sta rapidamente cambiando”. Parliamo anche di integrazione e, con molta tranquillità, Mensur dichiara che non ci sono problemi. Anche se è convinto che c’è sempre qualcuno a cui la presenza degli “stranieri” nel nostro Paese dà molto fastidio, magari perché “prendono le nostre case e poi perché ci rubano il lavoro”.
Mensur è invece convinto del contrario: “Noi immigrati facciamo per lo più lavori che voi italiani non volete più fare”. E’ un po’ quello che è successo non molti decenni fa ai nostri connazionali, compresi tanti ostrensi, costretti ad emigrare, primo per trovare un lavoro che in Italia non c’era, e poi proprio per fare lavori che svizzeri, tedeschi, belgi, francesi ed altri non volevano più fare.
Mensur pensa che agli immigrati che rispettano le leggi del Paese dove lavorano e pagano le tasse, oltre a questi elementari doveri, debbano giustamente essere riconosciuti anche i diritti, come quello della cittadinanza e del voto.
Facciamo una breve incursione anche nel campo della religione e scopriamo che Vjollca è cristiano ortodossa e Mensur musulmano. Questo non ha mai creato problemi nella loro vita in comune, perché ognuno è rispettoso della scelta dell’altro. Un bell’ esempio di tolleranza e rispetto, purtroppo non molto diffuso in troppi angoli di questo nostro martoriato Pianeta. Anche avere prospettive future diverse non costituisce un problema insuperabile. Vjollca, nella convinzione che i suoi tre figli (due femmine, una diplomata e iscritta all’Università di Ancona e gli altri due studenti delle scuole medie superiori) si fermeranno in Italia, vuol restare loro vicina.
Mensur, invece, pensa che un giorno ritornerà nel suo paese, dove vuole finire i suoi giorni.
E, soprattutto, si augura che un giorno i suoi figli, diplomati o laureati, possano lavorare in una Albania inserita a pieno titolo in Europa e dare il loro contributo per far crescere e sviluppare, nel Paese delle Aquile, non solo l’economia ma anche la democrazia.

Tahir Denjali viene dalla Macedonia, precisamente da Vesala (Tetovo), un paese di montagna, a 1.370 m. sul livello del mare dove, abbiamo verificato, la recente guerra è stata particolarmente devastante.
Era giunto ad Ostra nel febbraio 1995 per trascorrere qualche mese insieme al fratello, in Italia già da un anno. Le cose sono andate diversamente e Tahir, a distanza di quasi 15 anni, è ancora qui. Lavora nel settore dell’edilizia, con una importante azienda locale.
Aveva 25 anni quando è partito dalla Macedonia, dove era già sposato e aveva due figlie. Allorché è nata la terza, ha portato moglie e figlie in Italia, dove sei anni fa è nato il quarto figlio.
Gli chiedo se i suoi figli hanno qui le loro amicizie. Si, almeno fin quando hanno frequentato le scuole ad Ostra. Poi, gli incontri si sono diradati. E questo gli sembra del tutto normale. Gli chiedo ancora se un giorno ritornerà al suo Paese. “Per il momento è impossibile - risponde.
Non c’è molto lavoro, anche se la situazione sta lentamente migliorando”.
Comunque, ritornerebbe volentieri, perché l’Italia è lontana dalla Macedonia e i collegamenti, compresi quelli aerei, piuttosto complicati.
Il fatto che al suo Paese guadagnerebbe di meno che in Italia non lo preoccupa. E’ più importante, per lui, poter stare vicino alla sua città natale, magari anche ad una o due ore di macchina, e ritrovare ogni venerdì amici e parenti con cui trascorrere il tempo libero e le feste. Gli chiedo come mai ad Ostra raramente lo si veda con gente di altra nazionalità. Risponde: “La sera o nei fine settimana ci piace stare insieme tra conterranei, parlare la nostra lingua, fare qualche bevuta e anche qualche partita, ricordando e raccontando storie del nostro Paese, quelle di un tempo e di oggi. E certo non lo facciamo per appartarci.”
In Italia, almeno dalle nostre parti, non vede forme di razzismo. Ed anche per questo Tahir dice di trovarsi molto bene in Italia e di essersi integrato senza problemi. Qui c’è il lavoro e qui si può vivere. Se però si creeranno le condizioni, ritornerà per sempre al suo Paese, dove già si reca in paio di volte all’anno. Un Paese, la Macedonia, al quale si sente profondamente legato. E lascerebbe l’Italia senza rimpianti, pur serbando per sempre un ottimo ricordo dell’Italia e degli italiani.
Teresa Ruizyùska viene dalla Polonia, precisamente da Swidnica (Wroczan).
Da sette anni è in Italia, dove è venuta per ricongiungersi alla figlia, Caterina, diplomata ostetrica in Polonia, in Italia operaia in una fabbrica di plastica. Il marito e un altro figlio sono in Polonia, dove almeno due volte all’anno Teresa ritorna per brevi vacanze. Così, a percorso inverso, fa suo marito, operaio in fabbrica, che viene un paio di volte all’anno in Italia a trovare moglie e figlia.
In Italia Teresa si trova molto bene, si sente libera, guadagna quanto basta per vivere, le piace il clima e pure la lingua. Ma soprattutto perché ha incontrato, come badante, persone di grande umanità. Famiglie che l’hanno accolta e trattata come una persona di casa e dove non ha mai creato né avuto problemi. Su questo punto, Teresa è molto chiara: “Non vorrei essere trattata male e neppure come una “serva”. Rivendica con orgoglio la sua dignità di donna e di cittadina e, su questo punto, afferma di essere “del tutto intransigente”.
Teresa ci parla anche di sua figlia Caterina – da 12 anni in Italia - della sua speranza di poter esercitare un giorno la professione di ostetrica, quella per la quale ha studiato, delle numerose amicizie, di persone di diverse nazionalità, delle sue aspirazioni. Sua figlia Caterina, in fabbrica, ha un buon rapporto con i tanti lavoratori stranieri presenti. Un po’ meno buono è il rapporto con i lavoratori italiani, perché – afferma Teresa - tengono nei confronti della donna un atteggiamento che non le piace. Solo in questo Teresa avverte negli italiani una certa di forma di “razzismo” e, forse, anche per questo non sa se sua figlia vorrà restare per sempre in Italia.
Teresa descrive anche alcune tradizioni della sua Polonia, dove un matrimonio si trasforma in una lunga festa, ancorché semplice, che dura pure tre giorni interi e dove si mangia, si beve, si balla. E della vigilia di Natale, quando le famiglie vestite dei loro abiti migliori restano unite nella lunga veglia, davanti ad una tavola apparecchiata con una tovaglia bianca e imbandita con ogni ben di Dio. Poi, la prosecuzione della festa nel giorno di Natale, la tovaglia colorata e l’albero sotto il quale c’è un regalo per tutti, non importa se piccolo, e con un piatto pronto per un ospite che potrebbe arrivare.

Alcuni dati sulla immigrazione a Ostra

Paese di provenienza M F T
Macedonia 111 72 183
Romania 79 83 162
Albania 63 53 116
Cina 29 25 54
Bangladesh 14 5 19
Polonia 1 7 8

(I dati si riferiscono alla popolazione residente nel Comune di Ostra – dicembre 2009 -)


Generazione “né-né”

di Nicoletta Principi

Negli ultimi mesi la stampa nazionale si è occupata con diversi articoli della generazione chiamata “né-né”, vale a dire quella che né studia né lavora. Il fenomeno, oggetto di studio anche in Italia, interessa i giovani dai 18 ai 35 anni (circa 3 milioni di ragazzi), che si trovano nella condizione di “né-né” per diverse motivazioni. Molti di loro non lavorano perché un impiego non lo trovano, ora più che mai nel mezzo della crisi mondiale, o hanno smesso di cercarlo, scoraggiati da un sistema non meritocratico, fatto di raccomandati e persone che difendono le posizioni di rendita. Altri sono quelli che, dopo anni di borse di studio o stage non retribuiti, magari in giro per il mondo, si ritrovano a casa, disillusi e senza prospettive.
Ma ci sono anche i giovani che della loro inattività fanno una scelta, perché a studiare o lavorare non ci pensano proprio, tanto ci sono mamma e papà pronti a sostenerli. Così come quelli che, rapiti dal concetto che per riuscire non serve impegnarsi, temporeggiano aspettando la chiamata in qualche show che li farà diventare ricchi e famosi.
Ci si può allora domandare se la condizione di “né-né” sia dovuta anche alle precedenti generazioni che non riescono a trasmettere ai figli i concetti di ambizione, di impegno per la conquista di una posizione sociale, che dimostrano il bene mettendo a disposizione dei figli tutto e subito, o se le cause debbano primariamente essere ricercate nella tanto nominata società che non offre, non qualifica e non protegge.
Sarebbe interessante approfondire tale fenomeno nella nostra realtà; conoscere le storie dei giovani ostrensi, comprendere “da vicino” le diverse condizioni, comprese le motivazioni che portano a vivere nella condizione di “né-né”, anche per proporre possibili soluzioni o semplicemente per dar voce a idee e considerazioni di chi è calato nella situazione.
Come sempre, noi di” Buongiorno Ostra” siamo qui per ascoltare e riportare le testimonianze di voi giovani.

Alcuni dati sulla popolazione giovanile residente nel Comune di Ostra


Anno di nascita M F T
Dal 1974 al 1983 478 448 926
Dal 1984 al 1991 293 267 560



venerdì 30 ottobre 2009

Due emigrati ostrensi

di Nicoletta Principi

Su invito fatto nell’ultimo numero di Buongiorno Ostra nell’articolo “Quando gli emigranti eravamo noi”, ho raccolto le testimonianze di due emigrati ostrensi.

Guido Marchetti,appena maggiorenne, decide di emigrare e lasciare la numerosa famiglia (quarto di sette fratelli) per imparare un nuovo mestiere, non sentendosi pienamente realizzato dal lavoro di mezzadro che svolgeva ad Ostra, né condividendo la regola di dover dividere il raccolto con il “padrone”. Era il 1958 quando Guido, da solo, raggiunge per la prima volta la Svizzera, precisamente Aarau, cittadina del cantone Argovia, di lingua tedesca. Arriva con pochi soldi e trascorre la prima settimana “chiuso” nella casa dello zio, perché la polizia svizzera era solita controllare gli stranieri e rispedirli a casa, mettendo il visto rosso sul passaporto, se venivano trovati senza denaro a sufficienza.
Lavora prima in una fabbrica di ottone, poi in un’altra ditta dove si occupa di lucidare le lamiere di zinco e alluminio. Di quell’azienda, dove resta per 9 anni, conserva un ottimo ricordo: lavora molto, con turni intensi (per due giorni alla settimana dalle 6 alle 22) e rammenta ancora i freddi e innevati inverni, con temperature che scendevano fino a 31° sotto lo zero, mentre in bicicletta raggiungeva il lavoro. I sacrifici sono però ripagati sia dal buono stipendio sia dalla stima e fiducia che i titolari dell’azienda gli riservano. Infatti gli italiani erano più abituati al sacrificio e lavoravano più degli svizzeri che per questo canzonavano gli italiani, senza però eccedere in episodi di razzismo.
Della gente svizzera ha un buon ricordo. Prima che la moglie lo raggiunga, nel 1963, Guido vive in una casa in affitto dove la proprietaria gli prepara da mangiare, un gesto che lo fa sentire accettato e ben voluto. Ricorda anche la disciplina e il senso civico degli svizzeri, il rispetto per le regole, il senso di prevenzione. Per esempio, erano già previste le cinture di sicurezza e le guardie svizzere multavano chi lasciava le automobili non chiuse a chiave perché il fatto poteva favorire la delinquenza. Un rigore, quello degli svizzeri, a volte eccessivo, tant’è che Guido non poteva acquistare un giornale italiano in cui fossero trattate questioni politiche perché, se lo avesse fatto e fosse stato scoperto, sarebbe stato rispedito in patria. Tuttavia Guido e la sua famiglia, moglie e figlia che nasce ad Aarau, partecipano poco alla vita della cittadina svizzera, complice anche la difficoltà di parlare e capire la lingua tedesca.
Nei pochi momenti di svago, generalmente il sabato sera, si ritrovano nelle case di altri emigrati italiani e a volte visitano le vicine città come Zurigo e Basilea.
E’ il 1968 quando Guido e la famiglia tornano ad Ostra perché il costo della vita in Svizzera è elevato e non riescono a risparmiare molto.

Anche Enzo Cioccolanti, all’età di 23 anni, lascia Ostra per raggiungere la Svizzera. Parte con un amico, stanco di lavorare duro nei campi e guadagnare poco o niente. Enzo arriva in Svizzera nel 1963, nel comune di Richterswil del cantone Zurigo. Nei primi 18 giorni non trova lavoro, complice anche un’annata particolarmente fredda cha ha gelato il lago di Zurigo e temporaneamente paralizzato la ricerca di manodopera e proprio quando, scoraggiato, pensa di tornare a casa, trova impiego in una fabbrica che produce tovaglie. Ma il lavoro non è ben retribuito e dopo 4 anni, decide di cambiare e andare a lavorare in una ditta di montaggio di serrande, dove resta per 7 anni. Con nostalgia ricorda che il titolare della ditta lo stimava molto, gli aveva affidato la macchina aziendale ed era apprezzato anche dai colleghi svizzeri. La moglie, nel 1967, lo raggiunge e, con la nascita della prima figlia, per guadagnare di più, Enzo svolge anche un altro lavoro: nel tempo libero vende frutta ad un supermercato e impara così molto bene a parlare e capire la lingua tedesca. Anche la famiglia è ben integrata, vivono in affitto in un appartamento di un condomino con altre 16 famiglie tutte svizzere; la moglie è casalinga e si prende cura dei figli dei vicini; la figlia frequenta, anche se per un breve periodo, l’asilo pubblico.
Nel 1974, a causa di questioni familiari, torna con la famiglia ad Ostra.
Enzo confida che l’esperienza da emigrato gli ha regalato molte soddisfazioni, sia umane che professionali e che sarebbe rimasto volentieri nella terra non più straniera, la Svizzera!.

Benito Galli

Benito Galli è emigrato in Svizzera nel 1955 e vi è rimasto fino al 1964. Ricorda che, alla frontiera, gli emigranti venivano sottoposti a visita medica. Chi non era in buona salute non entrava in Svizzera. Appena arrivati, si doveva consegnare il passaporto in Comune e, in cambio, veniva rilasciato il “libretto stranieri”, dove erano annotati i lavori svolti.
Chi rimaneva momentaneamente senza lavoro, se veniva fermato dalla Polizia, doveva dimostrare di avere i soldi sufficienti per vivere, altrimenti veniva rispedito in Italia. Qui non c’era lavoro e comunque la paga era di 25 / 30 mila lire al mese. Lavorando in Svizzera, tolto quanto necessario per vitto e alloggio, si potevano mandare in Italia circa 120 mila lire al mese. La paga veniva data ogni 2 settimane (al martedì). Il lavoro era di 8 ore al giorno più mezza giornata del sabato (pagato come straordinario).
Se ci si comportava bene, e si era laboriosi, i datori di lavoro erano rispettosi dei dipendenti italiani ed a volte, a sorpresa, c’era anche un premio in busta paga. Chi invece tentava di rubare o si comportava male, veniva rispedito in Italia (con tanto di legnate). I colleghi svizzeri disprezzavano gli italiani emigranti ( “zingari” ). Per non perdere il lavoro, gli italiani non potevano neanche reagire perché passavano sempre dalla parte del torto.
All’inizio si dovevano fare i lavori più umili o più pesanti che gli svizzeri non volevano fare (esempio lavorare nelle cucine di grandi ristoranti, fare scavi in profondità nel terreno, con enorme fatica e rischi). Poi, con il tempo, si acquistava fiducia e referenze per trovare lavori sempre migliori. Un problema grave era quello della non conoscenza della lingua, il tedesco, che poi pian piano si imparava a parlare, almeno l’indispensabile.

(S. Neri)

Giuliano Perlini

Giuliano Perlini, classe 1941, è emigrato in Svizzera a 17 anni insieme un altro ragazzo: Altero Manoni. Aveva già un lavoro che l’aspettava in una fabbrica di tessitura, nel Cantone di Zurigo, precisamente a Wadeswil, dove è rimasto per circa 15 anni.
La fabbrica, un edificio di cinque piani, comprendeva anche alcuni “appartamenti” riservati agli operai della ditta: uno di questi era abitato da Giuliano che lo divideva con altri otto compagni di lavoro. Il padrone della fabbrica era molto cordiale e, in occasione delle festività natalizie, passava tra i dipendenti per fare gli auguri e, dopo le ferie, per sapere dove erano state trascorse e se tutto era andato bene.
Dopo cinque anni, Giuliano si sposa e porta sua moglie in Svizzera: Rita lavorerà nella stessa fabbrica del marito. Insieme andranno ad abitare in un altro appartamento, in una frazione di Wadeswil. Il salario era ottimo, se raffrontato con quello di un operaio italiano. Erano buoni anche i rapporti con gli svizzeri, non solo sul posto di lavoro. Giuliano, in questo, era avvantaggiato dal fatto che era riuscito in un tempo ragionevole ad imparare la lingua. Non ricorda di essere mai stato insultato. Però, ammette di aver sentito insulti nei confronti di altri italiani, i quali complessivamente erano mal visti. Soprattutto in quel periodo in cui un movimento razzista, lo “Swhenbach”, aveva indetto un referendum per cacciare tutti gli stranieri. Ma il pensiero degli xenofobi era rivolto soprattutto agli italiani, in quanto rappresentavano la stragrande maggioranza degli stranieri presenti in Svizzera. Le altre comunità, spagnoli e turchi, rappresentavano infatti solo una piccola minoranza
.

Arturo Mallucci

Arturo Mallucci, classe 1931, è emigrato in Argentina nell’ottobre del 1951. Ad attenderlo, a San Nicolas (Stato di Buenos Aires) una sorella, Aurelia, e il cognato Marcello Manoni. Con lui, su quella nave e nello stesso viaggio, il cognato, Alvaro Luzi, sposato con Lina detta Lilla, che li raggiungerà un anno dopo. Sedici giorni è durato il viaggio d’andata sulla nave (prezzo del biglietto 180.000, “roba da cambiali”); ventuno il viaggio di ritorno, nel 1963, quando il biglietto costava invece 125 dollari.
Quasi 13 anni è durata la permanenza di Arturo in questa terra lontana, dove si è inserito senza grandi problemi, né di lingua, né di clima: “anche se – ricorda – c’erano giornate di grande freddo” . Anni in cui ha fatto diversi mestieri. Il principale: il muratore, dipendente da una ditta, ma anche lavoratore in proprio. Un lavoro che permetteva buoni guadagni.
Arturo, dopo tre anni dalla partenza, sposa una ragazza argentina. Matrimonio senza figli e di breve durata: neppure tre anni. L’Argentina è ospitale. Il mangiare è buono. Il lavoro non manca. Tanto che Arturo può cambiare, senza problemi: lavora in un ristorante come aiuto cuciniere (solo per sei mesi, però) e poi, per un anno, operaio in una fabbrica di lana. Pur ricordando con una certa simpatia l’Argentina, Arturo non ha nostalgia di quel paese. Tanto che non vi è più ritornato.

Giuliano Cerigioni

Giuliano Cerigioni, classe 1938, è emigrato in Francia nel 1959. Prima di lui era toccato al babbo Dante (per tre anni) e al fratello maggiore, Nazzareno. Dopo di lui, Lorenza e Libero: tutti in Francia, dove sono tutt’ora (eccetto Lorenza) con le loro rispettive famiglie.
Giuliano è stato un emigrante fortunato. E’ partito con un contratto di lavoro. E il giorno dopo il suo arrivo a Parigi era già sul cantiere.
Un grande cantiere dove si mangia e si dorme in un “box” a due posti: stufa a carbone, fornello, due letti di ferro; docce e bagni fuori dai box. Giuliano comincia come muratore, ma presto ritorna al suo mestiere di carpentiere, a lavorare il legno. La sera, dopo il lavoro, frequenta corsi di perfezionamento: lavoro e studio per salire più velocemente la “scala” delle responsabilità nell’organizzazione interna del lavoro. Infatti consegue negli anni importanti diplomi: caposquadra, capo cantiere, tecnico in cemento armato in edilizia.
La sua vita lavorativa l’ha passata su grandi cantieri: 15 anni a Parigi, 19 fuori Parigi. In cantiere dal lunedì al venerdì. L’ultimo lavoro, otto anni e mezzo, nel nord della Francia, in Normandia, a costruire una centrale atomica, dove guidava il lavoro di circa 90 dipendenti.
Ci mette un po’ ad imparare la lingua francese, anche perché nei primi anni ha quasi costantemente contatti con altri italiani.
“Mai avuto un problema – afferma sicuro -. Sono stato fortunato a trovare gente formidabile che mi ha aiutato, mi ha guidato sulla via giusta”. Un grande rapporto, quindi, con i francesi e solo ottimi ricordi di quella terra e di quella gente.
L’11 agosto del 1963, a Valencia (Spagna), dopo due anni di fidanzamento, sposa Adelina, una ragazza spagnola. Anche nel matrimonio Giuliano sembra essere stato molto fortunato.

Ottavio Ruzziconi

Ottavio Ruzziconi parte per il Belgio nel 1971, a 26 anni, “con una valigia piccola piccola perché volevo restare solo pochi giorni”.
Ad attenderlo un fratello maggiore, Dario, che lavora in miniera, nei pressi di Liegi, dove c’è anche uno zio, fratello del babbo.
Ottavio cambia negli anni di permanenza in Belgio diversi mestieri. Riesce ad evitare la miniera, forse perché vede quanto sacrificio costa e quanta salute se ne va in un lavoro che, esperienza di suo zio e del suocero, “ti ammazza molto presto”.
Lavora in una fabbrica metallurgica, poi in una fonderia; fa una lunga esperienza di lavoro anche in una fabbrica di birra.
Del Belgio Ottavio serba comunque un buon ricordo, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle regole, dell’osservanza della disciplina, del fatto che tutto ciò che ti spettava ti veniva regolarmente dato.
Ottavio ci parla di “difficoltà molto relative” incontrate in Belgio. Difficoltà probabilmente attenuate dalla presenza di parenti, dal fatto che lassù incontra Palmira (già emigrata all’età di sei anni e che, avendo frequentato le scuole belghe, conosce bene la lingua) dalla quale avrà due figli, nati ambedue in Belgio.
Ottavio vuole imparare la lingua il più presto possibile: la parla sul posto di lavoro e non trascura neppure la lettura di qualche giornale in lingua francese.
Per la gente del posto, però, “eravamo sempre immigrati”, “sale italien”, (sporco italiano, traduce Palmira), se succedeva qualcosa la colpa era sempre degli italiani. Italiani forse anche un po’ troppo esuberanti, in specie con le donne, a causa delle quali nei locali da ballo non di rado ci scappava qualche scazzottata.
Del Belgio Ottavio serba comunque un buon ricordo, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle regole, dell’osservanza della disciplina, del fatto che tutto ciò che ti spettava ti veniva regolarmente dato.
(b.l.)

LA VIABILITA’(a cinque mesi circa dall’insediamento della nuova Amministrazione)

di Bruno Landi


Ci sono cose che non costano e non possono essere realizzate. Importante che l’Amministrazione Comunale faccia conoscere ai cittadini dov’ è il problema e i cittadini, ne siamo certi, capiranno.
Ci sono altre cose che non costano niente, almeno come impegno finanziario, e non si fanno. Precisiamo: da sempre.
Questo, però, non può costituire un alibi.
Sul n. 6 (luglio 2009) del nostro giornalino, parlando di viabilità, avevamo criticato una interrogazione della attuale minoranza, perché pensavamo non fosse abilitata (a così breve distanza dalla chiusura della precedente legislatura) a chiedere una cosa che essa stessa non era riuscita a fare in molti anni di amministrazione.
A parte questo dettaglio, scrivevamo però che anche noi di Buon Giorno Ostra! siamo dell’avviso che il problema c’è e che va affrontato senza ulteriori tentennamenti.
Ritorniamo sull’argomento forti di una convinzione: provvedimenti restrittivi per la viabilità nel centro storico vanno presi “al volo”, nei primi giorni di amministrazione. Con coraggio e coerenza. Sapendo che su una materia così controversa ci saranno sempre due popoli: inutile contare quanti sono i favorevoli ad una regolamentazione e quanti i contrari. Serve solamente credere che un simile provvedimento vada a favore di tutti. E che, soprattutto, non danneggia nessuno.
In altre parole, o ci si crede o si lascia perdere. In questo ultimo caso, però, bisogna prendere il coraggio e dire ai cittadini, a tutti indistintamente, che quel provvedimento non lo si vuol adottare.
Preveniamo almeno una scontata osservazione: ci sono pochi vigili per poter effettuare regolari quotidiani controlli. Giusto. Perché allora, come si fa in altri Comuni, non si crea una squadra di “ausiliari”, ai quali affidare il compito del controllo. Naturalmente non quello della repressione delle infrazioni.
Una costante opera di vigilanza potrebbe scoraggiare la maggior parte di coloro che pensano che parcheggiare la macchina in Via Gramsci o in altre vie del centro storico, sia come legare il proprio cavallo, laggiù nella sconfinata prateria, davanti al saloon. E far capire loro, con tutto il tempo e la pazienza necessari, che “laggiù” e “quassù” non è proprio la stessa cosa.

La favola + bella me l’hai regalata TU! 6 speciale

Le “favole” più belle non sono mai state scritte sui muri. Allora perché imbrattare un muro, quello del piazzale in fondo a Vicolo Gherardi, quando una frase d’amore si può benissimo scrivere su un foglio di carta? Se invece la si vuol far conoscere a tanti, al mondo intero per gridare la propria gioia, basterebbe scriverla su un bel cartoncino e appiccicarlo in quello o in un altro angolo della città. La “fantastica” notizia avrebbe lo stesso effetto e il muro non risulterebbe malamente imbrattato. Insieme a quella scritta ((nella foto), in quel piazzale, ce ne sono molte altre. Troppe. Nessuna offensiva, e questo è già un fatto positivo. Ma non basta. Vogliamo rivolgere un invito a voi ragazze e ragazzi che frequentate quel posto e che sicuramente conoscete chi ha scritto quelle frasi e anche quegli altri scarabocchi di non facile comprensione: dite loro di cancellare tutto, di ripulire i muri quanto prima. Sarebbe, questa, una prova di grande maturità, di senso civico che, ne siamo certi, verrebbe apprezzata da tutti, Autorità comprese. A quelle Autorità cui, qualche tempo fa, abbiamo rivolto lo stesso invito: quello di provvedere a far cancellare alcune scritte, quelle sì offensive, che si trovano su un muro in Via Enrico Medi. Mentre scriviamo queste note (a fine ottobre) sono ancora lì a far cattiva mostra di sé. Vediamo chi è più bravo e veloce tra voi e il Comune ad aggiudicarsi questa gara di civiltà

La “frana” del Viale

Lungo Viale Matteotti, altezza campeggio, da tempo immemorabile, c’ è una frana.
Non sappiamo se quel tratto di strada sia comunale o provinciale. Sappiamo fin troppo bene che nessuno si preoccupa di programmare un intervento risolutorio.
E questo non va bene.

(b.l.)

domenica 30 agosto 2009

Dalla Torre Civica di Ostra all’Empire State Building di New York

di Marco Albani

Da New York riceviamo e pubblichiamo
Approfitto ancora una volta delle pagine di questo periodico per ricollegarmi all’articolo apparso sul numero di maggio, firmato da Alessandro Regini. Come nel suo caso, anche io sto vivendo un’esperienza formativa all’estero grazie al progetto Campus World organizzato dall’Universita’ Politecnica delle Marche. Nel momento in cui scrivo, mi trovo a New York, la citta’ per definizione. Un brulicare continuo di gente, auto, taxi; una serie infinita di avenues e streets; grattacieli come funghi.
Passare dalla Torre Civica di Ostra all’Empire State Building o da Piazza dei Martiri a Times Square non e’ certo facile, ma una volta metabolizzato l’impatto iniziale, svaniscono i timori, le remore, le preoccupazioni e si inizia a scoprire la citta’.
Non posso che confermare quanto scritto dal mio amico Alessandro: “PARTIRE, senza starci a pensare piu’ di tanto, perche’ ne vale la pena fino in fondo”. Vivere all’estero significa mettersi in gioco, allargare i propri orizzonti, conoscere persone con sempre qualcosa di nuovo e diverso da raccontare. Il viaggio permette infatti di misurare la distanza che ci separa dalle realtà sconosciute, e’ capacità di adattamento a situazioni imprevedibili.
New York non rappresenta di certo tutta l’America ma puo’ essere considerata uno spaccato interessante della stessa. Sulla base di quello che ho visto tutti i giorni camminando per i marciapiedi di Manhattan e’ sorto spontaneo un confronto tra l’universo a stelle e strisce e l’Italia. Credo che, sotto certi aspetti, la societa’ americana costituisca un modello di riferimento, in particolar modo nella ricerca della massima efficienza in tutti gli ambiti della vita quotidiana. Ad esempio, in due mesi ne “La Grande Mela” non ho mai dovuto attendere per il ritardo della metro, di un autobus o di un treno. Per non parlare poi dell’integrazione multietnica: ho notato armonia tra persone di razza, cultura e religione diversa nonché capacità di condividere gli stessi luoghi di lavoro, vita e divertimento.
Infine, cio’ che piu’ mi ha sorpreso e colpito positivamente e’ stata la mentalita’, estremamente aperta e capace di accogliere comportamenti, stili e tendenze di ogni genere.
Non conta da dove vieni, quanti soldi hai, che lavoro fai e come ti vesti. Liberta’ e “think free”, prerogative indispensabili per realizzare qualsiasi obiettivo, progetto, sogno possono essere difficilmente riscontrate nel nostro Paese.
Tante pero’ le contraddizioni e gli aspetti negativi della realta’ statunitense: l’assenza di un sistema sanitario pubblico che costringe milioni di persone a sottoscrivere costosissime assicurazioni mediche, ricchezza e poverta’ a pochi passi di distanza, decisamente troppa fretta e frenesia. Una velocita’ spaventosa che incide negativamente sui rapporti interpersonali: le persone camminano per la loro strada e finiscono per non accorgersi di un conoscente che gli passa accanto. Si tende a sottovalutare il legame con l’altro probabilmente per la miriade di ulteriori opportunita’ che la citta’ riserva: insomma, non c’e’ paura di chiudere una porta perche’ se ne puo’ riaprire subito un’altra. Pregi e difetti che, in definitiva, mi portano comunque a preferire l’Italia, il mio Paese, pur con le sue incoerenze, le sue inefficienze, il suo scarso senso civico. Aspetti che vorrei contribuire a migliorare grazie alle “lezioni” apprese durante questo periodo lontano da casa. Anche perche’, citando Jack Nicholson nel film – Qualcosa e’ cambiato –, “Qui siamo a New York: se ce la fai qui, ce la puoi fare ovunque”.
New York:
Empire
StateBuilding

I nodi vengono al pettine

di Stefano Neri


In questi giorni sono usciti diversi articoli sulla stampa locale nei quali si legge che la nuova Amministrazione ha compiuto un approfondito inventario dell’attuale situazione in cui si trova il nostro Comune, sia dal punto di vista finanziario che pratico. Da quanto scritto (ma anche dalle sedute del Consiglio Comunale) sembrerebbe emergere una situazione finanziaria molto critica: capitoli di spesa con stanziamenti insufficienti rispetto agli impegni assunti nei vari contratti/accordi; fondo di riserva (che dovrebbe essere destinato alle spese impreviste) quasi totalmente azzerato con una delibera assunta il giorno stesso in cui la giunta cessava il suo mandato; dipendenti comunali che lamentavano il mancato pagamento del premio di produttività, facente parte di una precisa previsione contrattuale.
Sempre stando a quanto riportato dalla stampa, alcuni immobili comunali risulterebbero danneggiati per mancata manutenzione e/o riparazione. Alcuni esempi: ascensore nel locale da destinare a museo civico che, prima ancora di essere messo in funzione, risulta già arrugginito e non funzionante a causa di infiltrazioni d’acqua dal soffitto dello stabile;
stato di incuria per i libri da destinare alla biblioteca comunale (nella foto);
mancata realizzazione e, quel che è più grave, mancata previsione dell’anello antincendio nelle scuole elementari del capoluogo, indispensabile per ottenere il certificato di agibilità e conseguente rimessa in funzione dell’edificio ristrutturato.
I nodi stanno venendo al pettine e non mi fa certo piacere constatare che questo “rompiscatole di turno” aveva ragione quando denunciava la mancata trasparenza della passata amministrazione ed i problemi finanziari del nostro Comune riscontrabili con una semplice lettura del bilancio comunale e dei suoi allegati.
I recenti accadimenti fanno sorgere più di un dubbio in noi cittadini.
Siamo certi che il bilancio di previsione, per alcuni capitoli di spesa e voci di entrata, sia stato redatto e certificato secondo una corretta previsione delle entrate?
Siamo certi che le infiltrazioni d’acqua piovana dal tetto del palazzo ex conventuali (responsabili dei danni all’ascensore) non potevano essere immediatamente evitate con un pronto intervento di manutenzione straordinaria?
Quale controllo è stato posto in essere riguardo ai lavori di ristrutturazione del plesso scolastico “Crocioni”, se chi aveva questo compito non ha rilevato neanche la mancata previsione di un impianto antincendio, oltre all’errato posizionamento di alcuni termosifoni?
Chi pagherà i costi dei danni causati dalla intempestività dei controlli e dei mancati interventi? Certamente c’è una responsabilità tecnica, che comunque risale sempre, istituzionalmente, a una responsabilità degli Amministratori, a cui i cittadini, con il loro voto, avevano dato fiducia.

Quando gli emigranti eravamo noi

di Carla Raffaeli

Noi italiani siamo stati un popolo di emigranti. E le Marche sono tra le regioni che hanno dato un contributo percentualmente rilevante al fenomeno, in particolare i piccoli centri dell’entroterra: Ostra non fa eccezione. Ho avuto in mano molti documenti che testimoniano soprattutto la grande emigrazione del primo Novecento, scrivendo, con Bruno Morbidelli ed altri, il libro “Ostra e la sua Banca, una storia di novant’anni”.
Ne voglio ricordare alcuni dati: tra il 1901 e il 1913, 873 mila emigranti partirono, soprattutto contadini delle Regioni del Centro sud, verso l’America Latina e gli Stati Uniti.
In buona misura si trattava di una emigrazione coordinata e organizzata dal Commissariato Generale dell’Emigrazione, che forniva informazioni e servizi di prima assistenza agli emigranti. In vari casi, tuttavia, il fenomeno non seguiva flussi organizzati e avveniva nella clandestinità; allora aumentavano i rischi e le difficoltà allo sbarco, circa la possibilità, per il clandestino, di trovare un lavoro, una casa. Drammatica, disumana, la condizione di chi non ce la faceva da solo e cadeva nelle sporche trame della malavita e dei profittatori. Ma da quella marea di uomini, donne, talora bambini, per lo più analfabeti, padroni solo di un dialetto locale ignoto agli altri, che chiedevano lavoro, venne un grande beneficio economico e finanziario al Paese di immigrazione. Al tempo stesso, giunsero in Italia, tra il 1907 e il 1910, rimesse che alcuni storici quantificano in 550 milioni di lire all’anno. E furono quei sudati risparmi a consentire al governo Giolitti di raggiungere il pareggio di bilancio.
Ad Ostra, tra il 1901 e il 1914, furono presentate 884 domande di passaporto per l’estero. Gli emigranti ostrensi erano diretti soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Argentina e in Brasile, in Germania, in Francia e in Austria.
Le guerre mondiali rallentarono l’esodo chiamando alle armi milioni di giovani e la ricostruzione post bellica richiese braccia al lavoro civile. Ma l’emigrazione non si fermò neppure in quei dopoguerra, fino a riprendere intensamente tra il 1959 e il 1972, considerata “un’opportunità di fronte al grave problema della disoccupazione”, come dichiarava il Sindaco di Ostra, Giovanni Bonventre, nella seduta consiliare del 30 luglio 1961. Proprio per effetto dell’emigrazione, Ostra registrava in quegli anni un decremento demografico fortissimo: da 7.263 a 5.875 abitanti. E a partire erano naturalmente i giovani, non ancora sposati o con i figli piccoli, lasciati generalmente alle cure di nonni e zii.
Ma i caratteri di questa seconda ondata migratoria sono molto diversi da quella precedente. Ora chi parte non se ne va definitivamente al di là dell’Oceano, ma nei Paesi europei appena oltre il confine, disposto a fare ogni sacrificio per garantirsi condizioni migliori di vita al momento del ritorno: una casa
nuova, l’acquisto del podere o, più ambita, una propria attività artigianale o commerciale.
E ancora una volta, i risparmi di anni di immane fatica e difficili condizioni di vita consentono a Ostra, alle Marche, all’Italia di modernizzare e accelerare lo sviluppo economico.
Ho ancora sotto gli occhi il mio registro di classe con il lungo elenco delle città straniere (belghe,tedesche, soprattutto svizzere) in cui erano nati i miei studenti.
Quante storie personali dentro questa fotografia di un nostro comune passato, lontano ma anche vicino! Mi piacerebbe ascoltarle e raccontarle, prima che le nostre nuove abitudini di vita ci facciano dimenticare da dove veniamo e ci rendano ostili, o semplicemente indifferenti, verso i nuovi immigrati.
Invitiamo l’Autorità a cancellare frasi che offendono e non fanno onore alla nostra comunità (le scritte si trovano in Via E. Medi (la tabella però non si vede, perché coperta dai rami di un albero).

L'isola ecologica di Via Leopardi

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Un’immagine dell’isola ecologica (!?) di Via Leopardi, il giorno 17 agosto, alle ore 11 circa.


E certamente non è la sola “isola” a presentarsi in queste condizioni.
La raccolta differenziata è un servizio importante, che deve progredire facendo passi successivi per traguardi sempre migliori.
E’ opportuno monitorare la funzionalità e l’efficacia organizzativa del servizio (mezzi, tempi, luoghi) per poter capire da dove vengano gli attuali problemi e come possano essere risolti.
Sono pochi i cassonetti rispetto alle esigenze della zona?
Vengono lavati secondo quanto previsto dal Capitolato, in particolare nel periodo estivo? Devono essere più frequenti i tempi di raccolta?
Intanto, è fondamentale che i cittadini per primi agiscano responsabilmente in relazione alla pulizia e all’ordine, rispettando le norme e comportandosi come cittadini “adulti”, a cominciare proprio dal quartiere di residenza.

Un albero per ogni neonato ostrense

di Nicoletta Principi

Nell’ ormai lontano 1992, lo Stato Italiano ha introdotto, con legge n. 113, l’obbligo per i comuni di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato che venga registrato nell’anagrafe civile. In particolare, la legge dispone che i comuni, in attuazione degli indirizzi definiti nel piano forestale nazionale, entro dodici mesi dalla registrazione anagrafica di ogni neonato residente, provvedano a porre a dimora un albero nel territorio comunale ed entro quindici mesi dall'iscrizione anagrafica, l'ufficio anagrafico comunale registri sul certificato di nascita, il luogo esatto dove tale albero è stato piantato.
Dai dati a nostra disposizione, nell’ultimo decennio nel Comune di Ostra sono stati registrati circa 600 neonati, mediamente 60 ogni anno.
Ma dove sono gli alberi? E’ stato mai predisposto un piano di attuazione della norma?
A quanto risulta, nella nostra cittadina nessuna pianta ha trovato dimora, né sono state individuate idonee aree per accogliere le piantagioni arboree.
Ora, al di là della disposizione di legge, che va comunque rispettata, credo che il provvedimento possa contribuire alla potenziale crescita ambientale e sociale della città: da un lato permette di arricchire la città di spazi verdi, dei quali tutti i cittadini possono godere, dall’altro di sviluppare sempre più il senso di appartenenza e di legame alla comunità.
L’attuazione degli interventi andrebbe organizzata in modo da non “sprecare” il potenziale di cui parlavo. E’ infatti auspicabile che una volta individuate, da parte dell’Amministrazione Comunale, le aree pubbliche da destinare allo scopo (ad esempio prevedendo la suddivisione delle zone disponibili presso ciascuna frazione comunale o nei vari quartieri, o anche nelle nuove aree individuate per la costruzione urbana e spettanti di diritto al Comune), venga sollecitato il coinvolgimento degli abitanti dei quartieri e delle frazioni affinché ciascuno, secondo le proprie possibilità, contribuisca con impegno al mantenimento delle aree verdi dedicate ai nuovi nati.

Guardare avanti

di Bruno Landi
Assistere ad una seduta del Consiglio Comunale è per me una lunga radicata abitudine. Per 25 anni, infatti, sono stato in quei banchi come consigliere (e, per una breve parentesi, anche assessore). Poi, come cronista di un quotidiano locale, ho frequentato quell’aula ancora per molti anni. E continuo tutt’ora a farlo, soprattutto perchè voglio essere informato di quanto succede nel mio Comune.
Nella seduta del Consiglio del 29 luglio, ho assistito ad un lungo, articolato dibattito sulle “linee programmatiche” che guideranno la maggioranza in questa legislatura. Ho ascoltato la relazione del Sindaco Olivetti, che non si è scostata più di tanto da quello che era stato scritto e detto nel corso della campagna elettorale. “Un profilo basso, il nostro – ha detto il Sindaco – perché metteremo in piedi solo progetti fattibili, quelli compatibili con lo stato attuale delle finanze comunali”. Che, a detta di Massimo Olivetti, non godono proprio di ottima salute. Il Sindaco ha quindi ribadito il carattere prioritario dell’edilizia scolastica, la possibilità (che mi è sembrata però un po’ remota) di costruire un moderno campus scolastico per le scuole delle frazioni Casine e Pianello. Sì alla rotatoria di Casine. No a quel tipo di palestra, che veniva ipotizzata dalla vecchia maggioranza. Più attenzione ai rapporti con i cittadini, che saranno coinvolti per verificare e condividere la programmazione dell’attività amministrativa.
Un breve cenno al problema del personale, al quale Olivetti ha detto di voler dedicare tempo ed energie. Infine, critiche all’azione amministrativa della vecchia maggioranza, ricambiate abbondantemente dai rappresentanti dell’opposizione.
“Non avete fatto…”. “No, vi sbagliate, perché noi abbiamo fatto…” e giù un lungo elenco di cose fatte in questi anni.Come prima seduta credo sia un po’ normale. A patto che, a partire dal prossimo consiglio, tutti, indistintamente, guardino avanti, mettendo in primo piano le cose da fare, con le relative proposte della maggioranza e le riflessioni, anche critiche, da parte dell’opposizione. Occorre lasciare alla spalle le recriminazioni sul passato, perché tanto ognuno resta fermo nelle sue convinzioni. E questo può rappresentare un ostacolo ad azioni di governo condivise, che fanno invece solo bene alla comunità amministrata

lunedì 20 luglio 2009

La biblioteca di Babele…

di Elisa Sellari


E’ il titolo di un racconto fantastico di J.L.Borges, in cui una biblioteca, che rappresenta l’Universo, è una creatura aperta al possibile, a tutti i paradossi dell’infinità e il suo bibliotecario, cioè l’Uomo, è alla continua ricerca di una verità che non potrà trovare perché nella Biblioteca è vero tutto e il contrario di tutto.
Per questo da sempre subisco il fascino della biblioteca, un luogo lontano dal dogma, in cui alimentare le mie curiosità.
Nel corso dei miei anni di studio, frequentando diverse biblioteche, mi sono resa conto di viverle alcune come se visitassi un ossario, altre invece mi hanno aperto e stimolato alla ricerca.
Poi mi sono chiesta: quand’ero piccola, c’era una biblioteca a Ostra, ma che fine ha fatto?
Stando alle delibere comunali sono stati spesi parecchi soldi per sistemare gli spazi di Palazzo dei Conventuali che ospitano Biblioteca, Museo Civico e Archivio Storico. Eppure questi spazi sono chiusi. Perché?
A me piacerebbe molto che la Biblioteca tornasse a vivere e che non venisse riaperta in maniera passiva, ma che diventasse un centro di studio, d’incontro, di scambio e di idee.
Mi piacerebbe sfatare il luogo comune che vuole la biblioteca uno spazio buio e criptico frequentato dai topi, in cui si depositano archeologici strati di polvere; mi piacerebbe che questo luogo simbolico ed evocativo fosse anche un luogo funzionale in aperto e diretto contatto con i cittadini.
La Biblioteca che non è un semplice freddo contenitore di informazioni, dovrebbe mantenere un rapporto stretto e interattivo con il territorio di riferimento, non limitandosi quindi ad aspettare passivamente i suoi fruitori, ma promuovendo e sviluppando strategie per raggiungere tutte le tipologie di utenti, iniziative finalizzate alla diffusione della conoscenza e della cultura collegate alla valorizzazione del proprio patrimonio e non solo.
Incontri culturali, presentazione di libri, lettura di poesie, esposizioni artistiche, rappresentazioni di libri per bambini, lettura di testi della tradizione orale ostrense, corsi d’italiano per stranieri costituirebbero un impulso propositivo per una partecipazione diretta dei cittadini di ogni età, cultura, nazione o religione.
Essendo un servizio pubblico, come la scuola, il suo valore aggiunto dipende dalle capacità e dalla qualità del lavoro di intermediazione.
Penso ad uno spazio aperto e luminoso in cui ritrovarsi per sfuggire ai rumori casalinghi, per dedicarsi del tempo, per leggere una rivista, fare due chiacchiere, scegliere un libro con il proprio figlio, navigare in internet o prendersi una guida turistica per organizzarsi una vacanza.
La biblioteca crescerà nel cuore e nella testa dei cittadini soltanto se svolgerà bene la sua funzione e sarà propositiva e vitale. La biblioteca deve favorire e rendere duraturo questo contatto grazie ad orari e ambienti comodi, qualità delle raccolte, competenza del personale, buono stato di presentazione dei documenti e la loro giusta collocazione negli scaffali.
Oltre a raccogliere, conservare e rendere disponibile la documentazione relativa alla storia di Ostra, oltre ad offrire servizi adeguati (quali una mediateca con postazione internet, tv dove vedere film/documentari e stereo per ascoltare musica e un’emeroteca che metta a disposizione quotidiani, settimanali e riviste specialistiche), la biblioteca dovrebbe essere di supporto all’istruzione: la ricerca su google è immediata e utile, ma se fosse supportata da un esame critico delle fonti probabilmente sarebbe più completa. La scuola dovrebbe servirsi della biblioteca come di una ulteriore possibilità di studio e arricchimento per i ragazzi.
Sarebbe necessario inoltre muoversi in maniera critica nell’acquisto dei testi, individuando anche tematiche legate all’attualità, e non aspettare la manna dal Ministero.
Non credo a tutto questo come a un’utopia, ma come una possibilità, visto che nei nostri comuni limitrofi le biblioteche sono attive e stimolanti.
Ma se anche di utopia si trattasse, che almeno la biblioteca venisse riaperta!

Il Palazzo degli ex Conventuali che ospita la Biblioteca Comunale, Museo Civico e Archivio Storico. Sede anche della Mostra Nazionale dell’Antiquariato e dell’Artigianato. (da “Le Cento Cartoline di Ostra” di G. Barchiesi

Iniziativa pilota della Pubblica Amministrazione: “Mettiamoci la faccia”

di Stefano Neri

Nel numero di febbraio 2008 de “La Città Ideale” si descrivevano i principi fondamentali ed i nuovi diritti dei cittadini derivanti dall’applicazione del “Codice della Pubblica Amministrazione digitale” (Decreto Legislativo n. 82 del 7.3.2005). Uno di questi riguardava il diritto a servizi pubblici di qualità. Si prevedeva che le amministrazioni dello Stato si organizzassero affinché i loro servizi avessero soddisfatto pienamente i cittadini. Inoltre, la norma prevedeva una verifica periodica del livello qualitativo dei servizi erogati e la misura di soddisfazione dei cittadini.
Vorrei segnalare che recentemente è stata attuata un’iniziativa pilota, denominata “Mettiamoci la faccia” promossa dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, in partnership con enti nazionali ed amministrazioni locali, per rilevare in maniera sistematica attraverso l’utilizzo di “emoticons”, la soddisfazione di cittadini e utenti per i servizi pubblici erogati agli sportelli o attraverso altri canali (web e telefono).
Le “emoticons” sono delle interfacce funzionali costituite da tre faccine colorate (verde, arancione e rosso) che rappresentano rispettivamente l’utente soddisfatto, indifferente ed insoddisfatto.


Questa iniziativa si concretizza nel modo seguente:
- il cittadino, tramite appositi totem installati nei pressi dell’ufficio erogatore del servizio, ha la possibilità di esprimere, in maniera semplice, anonima ed immediata, un suo giudizio sul servizio ricevuto.Ciò avviene premendo il pulsante corrispondente alla faccina colorata che il cittadino ritiene conforme al suo giudizio.


Nel caso di giudizio negativo (faccina rossa) è prevista anche l’indicazione sommaria del motivo, scegliendo e premendo il pulsante corrispondente a queste quattro possibilità:
a) - tempo d’attesa
b) - necessità di tornare
c) - professionalità dell’impiegato/a
d) - risposta negativa
- l’amministrazione ha la possibilità di raccogliere in tempo reale, ed in continuo, il giudizio del cittadino/cliente sul servizio ricevuto e disporre di una descrizione sintetica della percezione che hanno gli utilizzatori dei propri servizi erogati; tutto questo con un basso grado di complessità per gli utenti (la funzionalità è simile a quella di un bancomat). L’ente può anche rendere disponibili, ai propri cittadini, i risultati di questo monitoraggio continuo, tramite pubblicazione sul proprio sito internet.
Scopo di tale strumento non è quello di valutare il personale addetto, ma quello di migliorare i propri servizi, intervenendo con tempestività sulle aree critiche evidenziate dal giudizio negativo espresso dai cittadini/utenti.
I primi progetti pilota sono stati avviati presso gli uffici dell’ACI, Enpals, Inps, Ipost e Comune di Milano.
A me sembra un’ottima iniziativa che può portare, con il tempo, ad un costante miglioramento dei servizi forniti all’utente/cittadino.
Auspico che, anche nel nostro Comune, una volta risolti alcuni problemi impellenti e ben più importanti, in un prossimo futuro possa trovar spazio anche questa buona iniziativa.


Sindaco e Giunta nel Chiostro di San Francesco nella prima seduta del Consiglio Comunale

L’opportunità di scrivere

di Nicoletta Principi

In questa estate che sembra aver placato i tumulti della primavera politica ostrense, vorrei tornare a parlare delle opportunità che “Buongiorno Ostra” offre.
Il giornalino dà la possibilità di scambiare informazioni, di far circolare idee, di mettere in evidenza situazioni non sempre critiche ma che vanno e possono essere migliorate. Per me scrivere è un modo di partecipare alla comunità, non ho la pretesa di cambiare le cose, semplicemente ho la coscienza di contribuire all’informazione dei cittadini. Mi piacerebbe che qualcuno di voi lettori, provasse a esprimere la propria opinione sugli argomenti che vengono trattati, che ci fosse un contraddittorio. Se qualcosa non ci piace dobbiamo dirlo, abbiamo il modo; ad esempio in internet, nel sito di Buongiorno Ostra c’è l’opportunità di commentare gli articoli. Spesso ci lamentiamo e mi rivolgo in particolare ai giovani, di non essere considerati dai grandi ma in molte occasioni siamo noi che preferiamo “restarne fuori”. Dovremmo imparare a discutere, a confrontarci con chi ha idee diverse, a dedicare anche poche ore del nostro tempo a riflettere sulle questioni sociali. Al riguardo, sottolineo che il contributo può provenire da tutti perché scrivere in un giornalino non significa necessariamente appartenere ad un partito, o ad un’associazione culturale o sportiva né tanto meno frequentare una cerchia di persone “esposte”. L’opportunità di scrivere è l’opportunità di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Spero che questo appello sia raccolto e magari che qualcuno, sotto l’ombrellone, inizi a scrivere. Buona estate a tutti.
Mura castellane e, sullo sfondo, il Comune

Le elezioni del 6-7 giugno 2009 - La prova dei fatti.

Partiamo da un dato emblematico: per la prima volta nelle Marche il Partito delle Libertà supera il Partito Democratico.
Ad Ostra le cose non vanno meglio: il PDL prende 1678 voti, il PD 870.
Questo il dato “politico” delle elezioni europee.
Poi c’è il risultato, sicuramente non facilmente prevedibile, delle elezioni comunali. Dove il centro-destra (Lista Civica “Progetto Ostra” guidata da Massimo Olivetti, nuovo Sindaco della città) ha riportato 2.292 voti, pari al 57,24%, mentre il centro-sinistra (Lista Civica “Nostra”) ha riportato 1.712 voti, pari al 42,76%. Un distacco di ben 580 voti, difficilmente prevedibile alla vigilia del voto.
Dopo dieci anni di amministrazione di centro-sinistra, comunque denominata (anche nelle elezioni del 6-7 giugno le due liste si sono “nascoste” sotto l’etichetta di “civiche”), non si è capito bene se la Lista guidata da Moris Mansanta volesse dare continuità alla gestione del Sindaco Cioccolanti o se, al contrario, con quello slogan “nuova e originale” ne volesse prendere le distanze.
Liste civiche con alcuni candidati che potevano essere considerati “indipendenti”, ma che sostanzialmente rispecchiavano i due schieramenti principali del centro-destra e del centro-sinistra.Ora, dopo tante parole della campagna elettorale e dopo aver promesso partecipazione, consigli comunali decentrati, periodiche assemblee pubbliche, consulte d’ambito per integrare ed arricchire le proposte degli organi amministrativi del Comune con l’apporto diretto dei cittadini e per garantire un collegamento diretto tra la Società e gli Organi di Governo locale, ci aspettiamo che dalla parole si passi speditamente ai fatti.


(b.l.)


Il Palazzo Comunale e il Teatro “La Vittoria”

La viabilità (oggi), secondo i consiglieri Mansanta, Avaltroni, Leoni, Lupini, Storoni

In relazione alla consueta chiusura del traffico nel centro storico nel periodo estivo…”.Comincia così una interrogazione dei Consiglieri di minoranza del 23 giugno 2009, che tratta dell’annoso problema della viabilità nel centro storico, problema mai affrontato seriamente da tutte le Amministrazioni che si sono avvicendate alla guida del Comune negli ultimi decenni. Questa interrogazione a me sembra sia stata sottoscritta da gente arrivata ad Ostra direttamente dalla Luna. Gente che si è immediatamente resa conto della scarsa sicurezza, della poca vivibilità e fruibilità del centro storico “da parte dei cittadini, in particolare bambini e anziani, oltre che turisti i quali, specie nel periodo estivo, sono soliti animarlo”. Invece, sfortunatamente, è sottoscritta da coloro che fino a pochi giorni fa hanno amministrato il nostro Comune, viabilità compresa. E non hanno fatto niente per evitare “quel caos quotidiano dovuto all’eccessivo afflusso di veicoli e dell’incontrollato parcheggio, che non permettono – come scrivono in conclusione questo stupefacente intervento i Consiglieri della Lista “Nostra” – una normale vivibilità delle vie principali del centro storico”. Naturalmente, a parte questo non trascurabile dettaglio, anche noi di Buon giorno Ostra! siamo dell’avviso che il problema c’è, che va affrontato senza tentennamenti, anche in considerazione del fatto che, una volta tanto, anche un buon numero di commercianti di Via Gramsci, una delle vie principali maggiormente penalizzata da un traffico e da un parcheggio per lo più disordinati, sono complessivamente d’accordo su un razionale intervento che ponga fine al caos e al pericolo costante cui sono sottoposti i cittadini tutti, senza distinzione di età e di sesso.

(b.l.)

Via Gramsci miracolosamente senza auto in sosta



La pescheria

Qualche settimana fa, con una solenne cerimonia, è stata inaugurata la “nuova” pescheria.
Quella di Via V. Veneto è una pescheria storica, nata nel lontano 1883/84 per volontà dell’allora Sindaco Luigi Antonini, per togliere dalle strade della città il mercato del pesce che si svolgeva all’aperto, in prossimità della Piazza principale. Evidentemente c’era attenzione, in chi amministrava il Comune, per la salute dei cittadini.
Oggi, non si sa bene perché, la Pescheria non è più il luogo, il mercato o il negozio dove si vende il pesce, come sarebbe logico e scontato. La pescheria, ristrutturata dopo anni di quasi abbandono, ad Ostra ha cambiato destinazione. E’ diventato il luogo, il mercato (saltuario), il negozio dove si vendono i prodotti tipici locali: olio, miele, vino, ecc.
E il pesce? Dove si vende il pesce? Naturalmente per strada, incuranti del fatto che questo mercato ambulante avviene in vie anche molto trafficate, dove polveri (più o meno sottili), finiscono inevitabilmente nelle cassette del pesce. Cosa ne pensano i cittadini di questa scelta? E soprattutto non pensano che il mercato del pesce debba tenersi abitualmente presso la pescheria, dove celle e banchi frigorifero possano offrire al cittadino-cliente-consumatore alte garanzie di igiene? Chiediamo, pertanto, alla nuova Amministrazione, di attivarsi quanto prima per riportare il mercato del pesce nel suo luogo naturale, che è e deve essere la pescheria.I prodotti tipici locali, ai quali anche noi attribuiamo la dovuta importanza, possono trovare spazio in uno dei tanti locali vuoti del centro storico.

(b.l.)


Inaugurazione della Pescheria








sabato 23 maggio 2009

Riceviamo e pubblichiamo "da MORIS MANSANTA candidato a Sindaco per la lista civica Nostra"


“La lista civica Nostra presenta come candidato a sindaco Moris Mansanta (nella foto), un ragazzo di 32 anni, che nonostante la giovane età ha maturato già un’ ottima esperienza in campo amministrativo, come assessore alla cultura e al turismo svolta egregiamente in questi 5 anni.
La lista si propone, all’interno del suo programma, tre punti focali imprescindibili:
*La priorità assoluta è data alle scuole di tutto il territorio in particolare ciò che maggiormente ci sta a cuore consiste nel continuare e terminare i lavori di ristrutturazione del complesso scolastico Crocioni in via Europa. Nell’ordine il piano di lavori prevede: la ricostruzione della palestra, già progettata e finanziata (inizio dei lavori 2009), realizzazione delle aule speciali, recupero del plesso centrale, con la possibilità di ottenere in questo modo nuovi spazi, al fine di concludere un progetto complessivo di area.
*L’associazionismo è un altro punto focale. Gli interventi necessari a tale scopo sono: la riqualificazione degli spazi aggregativi sia all’aperto che al chiuso, con il recupero delle aree destinate a verde pubblico, parchi da destinare alla collettività e da far gestire possibilmente dalle associazioni locali.
*In ultimo, ma non per importanza, mettiamo i servizi sociali che il Comune già oggi eroga con livelli eccellenti sia in termini di qualità che di quantità. A questo proposito dobbiamo dare priorità all’apertura di ludoteche o in alternativa spazi bimbi. Queste iniziative sono immediatamente attivabili dato che non manca la possibilità di reperire locali già funzionali e funzionanti. Soprattutto occorre valutare assieme alle frazioni la necessità di individuare un altro spazio per un asilo nido.La valutazione di questi punti programmatici più importanti è stato discussa con l’ausilio di un folto gruppo di persone, tra cui numerose ragazze e ragazzi, che hanno partecipato alla stesura dell’intero programma elettorale, portando una ventata di aria fresca, stimoli e nuove idee. Il gruppo di lavoro è stato, è e sarà aperto a chiunque voglia partecipare al miglioramento e al rinnovamento della nostra città”.

Riceviamo e pubblichiamo "da MASSIMO OLIVETTI candidato a Sindaco per la lista civica Progetto Ostra"

“Dedico tempo e passione alla vita politica della nostra Città da quando, conseguita la laurea in Giurisprudenza, nel 1990, ho ricoperto l’incarico di consigliere di maggioranza. Da allora non ho mai smesso di occuparmene, ma è stato soprattutto l’ultimo impegno come capogruppo di minoranza che mi ha convinto a scendere in campo. Ho toccato con mano l’esigenza di “voltare pagina”, per cominciare a scrivere una storia nuova, fatta di trasparenza e di partecipazione. Avevamo sentito promesse di condivisione delle scelte: sono mancate la condivisione ed anche le scelte. Lo stile di amministrare è stato cieco, incapace di superare l’orizzonte angusto del bisogno immediato e di individuare le priorità. Chi amministra rappresenta: deve ascoltare prima, confrontarsi poi e, infine, verificare con chi viene rappresentato. Non credo nei governi chiusi dentro il Palazzo, incapaci di accogliere valide proposte esterne. Ho visto amministrare il denaro pubblico senza oculatezza e senza lungimiranza; ho visto l’incapacità di decidere, per timore dell’impopolarità o dell’insuccesso. Nonostante interrogazioni, proposte e progetti, non ci hanno mai consentito di porre un freno agli sprechi. Come nel caso della ristrutturazione di uno dei plessi inagibili della scuola elementare Crocioni, che ha richiesto oltre un milione di euro, ma rimane comunque inadeguata alle nuove esigenze didattiche. Si rischia ora uno spreco anche peggiore con lo smantellamento e lo spostamento del campo sportivo di Pianello. Parliamo di un milione e mezzo di euro, spesi in un periodo di grave crisi economica, senza prendere in considerazione soluzioni alternative. Ecco perché ho deciso di impegnarmi come candidato Sindaco: la delega non sempre paga. Il nostro programma è stato redatto secondo criteri di concretezza e fattibilità. Al centro abbiamo posto la persona, portatrice di bisogni, ma anche di risorse. Per professione e per servizio, io e chi ho scelto per la mia squadra, siamo abituati ad ascoltare la gente e ad impegnarci per risolvere i problemi concreti. Lo facciamo già ogni giorno nella nostra vita privata e ci impegniamo a farlo anche come amministratori”.

Nella città “a misura dei bambini” le scuole al primo posto

di Carla Raffaeli

Un ambiente a misura dei bambini è, per natura, un ambiente educativo, vale a dire “aperto” alla conoscenza e all’incontro con altre persone, storie, linguaggi. L’esperienza si fa più variegata e complessa; la relazione si arricchisce, fa sorgere curiosità, domande; stimola intelligenza e immaginazione; procura piacere, soddisfazioni e pone, opportunamente, anche nuove prove. Così, il bambino matura.
In questo “ambiente educativo aperto”, l’esperienza scolastica, fin dagli anni dell’infanzia, riveste un ruolo molto importante: di conoscenza e di relazione.
Non intendo approfondire temi di natura educativa e didattica. Qui mi limiterò a qualche riflessione riguardante il ruolo dell’Ente Locale, che è di supporto strutturale e logistico alla formazione scolastica. In una città piccola come la nostra, occorre coniugare efficienza ed economicità ad altri aspetti, primo il rapporto con i nuovi bisogni della comunità.
Il buon senso chiede poi di fare i conti con l’esistente, senza manie di grandezza, mantenendo viva l’attenzione alle migliori condizioni possibili e dando valore alle risorse materiali e finanziarie disponibili. Nello specifico del nostro contesto, si tratta, da un lato, dell’esigenza di non depauperare il centro storico delle strutture che possono essere validamente recuperate e migliorate; dall’altro, di considerare l’espansione demografica di frazioni come Casine e Pianello, in cui cresce, di conseguenza, la domanda di servizi socio-scolastici. Proprio qui si rileva invece la situazione più carente del settore: edifici scolastici che non rispondono da molto tempo a parametri adeguati di sicurezza e funzionalità; ma anche non corrispondenti alle caratteristiche dello sviluppo psico-fisico dei bambini, specie nella scuola dell’infanzia.
Alla fine degli anni ’80, furono acquistati 2.700 mq. di terreno ai piedi della collina di S.Maria Apparve proprio allo scopo di edificare un moderno complesso scolastico, attrezzato anche di spazi verdi e di gioco, in una zona baricentrica rispetto alle nuove aree di sviluppo residenziale. Oggi la situazione dell’edilizia scolastica è ancora pressoché immutata, fatta eccezione per la ristrutturazione di uno dei plessi della Scuola Elementare “Crocioni”, non ancora completata.
Però, qualcosa di nuovo è stato messo in cantiere: il progetto di costruire, in quella stessa area, un nuovo campo sportivo. Le scuole (e gli alunni) possono sempre aspettare.

Bilancio di previsione 2009: luci ed ombre

di Stefano Neri

A fine aprile, il Consiglio Comunale ha approvato il rendiconto della gestione 2008 e, per fine maggio, si accinge ad approvare il bilancio di previsione 2009. Al di là della regolarità formale nel rispetto del nuovo termine, viene da domandarsi: “Se un Ente predispone il bilancio annuale di previsione dopo che sono già trascorsi 5 mesi dall’inizio del periodo è legittimo pensare che ci possa essere qualche problema a far quadrare i conti?". Esaminando la bozza di bilancio e gli altri atti predisposti dalla Giunta, qualche dubbio sorge. Scrivo questo perché, nella delibera n. 41, riguardante la definizione dell’obiettivo sul patto di stabilità, si trova scritto che è consigliabile ridurre il ricorso all’indebitamento. Nello schema di bilancio 2009, approvato con la successiva delibera (n. 42), si trova invece scritto che il Comune, nel corrente anno, prevede di accendere nuovi mutui per Euro 2.456.246. Alla fine del 2008 il debito residuo dei mutui ammontava a 4.166.000 euro. Al netto delle quote capitale sui mutui già in essere, da rimborsare nel 2009, l’incremento dell’indebitamento in un solo anno sarà pari al 50%. Questi nuovi mutui, a regime, comporteranno un aumento della rata annuale da pagare da 566 mila a circa 750 mila euro, comprensive di quota capitale ed interessi. Considerata la rigidità delle entrate da trasferimenti e la forte diminuzione degli oneri di urbanizzazione, si corre il rischio che l’Ente, nei prossimi anni, non sia in grado di rimborsare le rate dei mutui, a meno di dismissioni del proprio patrimonio o ingenti tagli di spesa sui servizi per i cittadini. Tra l’altro, le spese di amministrazione e gestione del nostro Comune risultano in costante ed elevata crescita. Nella stessa relazione tecnica, a proposito della dinamica dell’indebitamento, troviamo scritto che sarà necessario un costante monitoraggio di questa voce, per i suoi riflessi sugli equilibri dei bilanci futuri. Tenuto conto che il rimborso dei mutui ha una durata ventennale, c’è da domandarsi quali altri investimenti potrà fare il nostro Comune nei prossimi decenni in presenza di un così elevato indebitamento.
Si ha netta l’impressione che questo bilancio risenta in maniera determinante delle imminenti elezioni comunali.

Noi e la campagna elettorale

di Bruno Landi

In questa vigilia elettorale non potevamo mancare l’appuntamento con i cittadini, così come abbiamo fatto in questi anni, prima con “La città ideale”, poi con “Buon giorno, Ostra!”.
Riprendiamo brevemente alcune delle questioni che ci hanno visti maggiormente impegnati. Si parla molto in questi giorni di “campus” di impianti sportivi. Noi pensiamo che un “campus”, anche se di dimensioni più ridotte rispetto a quello previsto a Pianello, potrebbe essere realizzato, con la necessaria gradualità e con minore impegno di risorse finanziarie, in Via Leopardi, sulla circonvallazione del centro urbano.
In quella zona ci sono già due campi da tennis, con annessi spogliatoi che pure necessitano di intervento. C’è un “pallone” che chiede solo di essere rimesso completamente a posto per poter soddisfare una lunga serie di richieste. Poche decine di metri più avanti c’è un vecchio campo sportivo “che vuol rinascere” come chiedevano 325 cittadini di Ostra firmatari di una petizione a favore della ristrutturazione. Con fondo in erba sintetica, potrebbe essere a disposizione di chiunque, compresi i ragazzi dell’Oratorio, in ogni ora del giorno e…della notte.



Confina con lo spazio polivalente dell’Oratorio (nella foto) e il bocciodromo. Non sono di proprietà comunale, ma il Comune potrebbe sottoscrivere una convenzione per un loro utilizzo reciproco.
Abbiamo chiesto uno spazio verde per i ragazzi di Ostra, che avevamo individuato a fianco della Casa di Riposo. C’è stato un momento in cui Casa di Riposo (proprietaria del terreno) e Comune (che si faceva carico delle spese per sistemare terreno e recinzione) stavano per sottoscrivere un protocollo d’intesa, con tanto di regolamento per un corretto utilizzo dello spazio. Poi, però, qualcuno ha cambiato idea. Pensiamo tuttavia che la proposta sia tutt’ora valida ed attuale.
Abbiamo chiesto insistentemente informazione e partecipazione: vediamo se siamo alla vigilia di un sostanziale cambio di rotta.
Di scuole il lettore troverà un ennesimo intervento in altra pagina del giornalino.

Il senso civico

di Nicoletta Principi

A pochi giorni dalle elezioni comunali e del parlamento europeo, mi sembra opportuno parlare di senso civico dei cittadini. Sebbene molte siano le interpretazioni dell’espressione senso civico, ritengo possa essere sinteticamente definito come la disponibilità a cooperare con gli altri per il miglioramento e la crescita della società in cui si vive. Il senso civico non è nativo, ma si forma negli individui attraverso l’educazione scolastica alla convivenza civile che si riflette nell’educazione all’ambiente, alla salute, all’alimentazione e all’educazione stradale e si accresce quanto più le persone sono oggetto di atteggiamenti di rispetto e di cooperazione da parte degli altri e quanto più credono di poter influire sulla gestione della cosa pubblica o che la cosa pubblica sia bene amministrata.
Condivido chi dichiara che le fondamenta di una buona città siano le virtù dei suoi cittadini: manifestare un atteggiamento di gentilezza verso gli altri, aiutare una persona anziana ad attraversare la strada, fumare senza disturbare gli altri, differenziare i rifiuti, possono essere armi concrete contro l’inciviltà. Così come credo sia importante intervenire rendendo noto quello che non va (ad esempio scrivendo su un giornale) o impegnarsi assieme ad altri in attività di volontariato/educative o in attività politiche e non da ultimo partecipare alle elezioni esercitando il diritto di voto.
Altrettanto, chi riveste un ruolo pubblico (ad es. politici, dirigenti) dovrebbe adoperarsi per garantire istituzioni pubbliche gestite con criteri di trasparenza e di merito, sanzioni certe ed efficaci per chi non rispetta le regole, occasioni di promozione sociale per i meno agiati, nonché attività educative per arricchire il senso civico.
Ora, senza fare distinzione fra destra e sinistra, mi auguro che i candidati ad amministrare Ostra, siano “sensibili” al tema dell’educazione civica, come, civico, lasciatemelo dire, è questo giornalino.