domenica 31 ottobre 2010

Un vuoto da colmare

di Carla Raffaeli
Ostra è, per tradizione, paese ricco di storia e di cultura. E ancor oggi, soprattutto per iniziativa di numerose associazioni locali, si può godere nel corso dell'anno di un ampio programma ricreativo e culturale nell'ambito della stagione teatrale, di Ostra Estate, e non solo. E generalmente la quantità non va a scapito della qualità.
Se in questo panorama positivo si può trovare un punto debole, esso è rappresentato non dall'offerta, ma piuttosto dalla partecipazione e dalla fruizione delle iniziative da parte di un pubblico che non sempre premia l'impegno degli organizzatori.
C'è però una questione, che peraltro questo foglio ha più volte segnalato, assolutamente anomala rispetto a un quadro culturale di valore: da oltre otto anni la Biblioteca Comunale è chiusa e da sempre manca un museo della città e del territorio.
Si è ormai affermata l'idea che un museo non debba essere una raccolta incartapecorita di oggetti d'arte e reperti del passato. Esistono già, e sono fruibili in tante città, anche piccole, suggestive reinterpretazioni e reinvenzioni del luogo museale in una dimensione aperta, diffusa, multimediale, moderna. Ma non è solo un problema formale di organizzazione e comunicazione; importante è l'oggetto, il contenuto della cultura, dell'arte, della storia locale che vogliamo raccogliere, organizzare, mettere in luce. E se i palazzi gentilizi e le chiese sono già pregiati contenitori di opere d'arte e oggetti di arredo, esiste un patrimonio di cultura materiale e popolare, come quello relativo al lavoro contadino e artigianale, che rischia di perdersi irrimediabilmente. E se le grandi opere architettoniche, aperte e rese fruibili a tutti, sono capaci di raccontare il passato e formare gusto, sensibilità, intelligenza nel presente, quello stesso racconto resta parziale, incompleto senza la rappresentazione e la narrazione del lavoro materiale che le ha concretamente realizzate.
Basti citare le raccolte di manufatti, strumenti, disegni che un artigiano ostrense, Mario Verzolini, ha messo insieme su una delle cento storie di famiglie artigiane che hanno dato fama e lustro alla nostra città. Ed è sufficiente riferire la domanda che più spesso gli ho sentito fare: "che fine farà tutto questo?".
Credo che il nostro "museo" debba nascere da una grande idea che abbracci passato, presente e futuro e cominci muovendo anche piccoli passi alla volta, mettendo insieme concretamente ciò che associazioni, famiglie, singoli cittadini possono offrire. Nessun "esperto titolato" dovrà disegnare da solo il percorso di questo "racconto".
La chiusura della Bibilioteca Comunale da più di otto anni è un fatto gravissimo. Dopo aver creduto agli annunci di imminente apertura e aver constatato invece, anche di recente, lo stato di assoluta precarietà di strutture e arredi, non si può non parlare di "sospensione di pubblico servizio". Certo si tratta di un servizio culturale, ma non per questo meno essenziale degli altri servizi, se si considera la promozione della lettura un obiettivo di civiltà, oltre che di conoscenza. Sono convinta che la sospensione sia nata dalle migliori intenzioni di riqualificare il servizio; ma non è giustificabile che, nel corso di lunghi anni, sicuramente segnati da difficoltà, non si sia provveduto ad attrezzare almeno una sala di pubblica lettura, almeno provvisoria.
Che cosa ha intenzione di fare in proposito la nuova Amministrazione? A circa un anno e mezzo dal suo insediamento, nel corso del quale avrà esaminato il problema, ha un progetto, magari piccolo, da proporre ai cittadini e realizzare a breve termine?.
Faccio una proposta, che si può realizzare, come iniziativa provvisoria, fin da domani: ogni famiglia ostrense regali un libro alla biblioteca, che l'Amministrazione metterà a disposizione dei cittadini in una sala pubblica.
Le associazioni locali non mancheranno di dare la loro collaborazione.

Il patto di stabilità

di Stefano Neri

In quest'ultimo periodo, si sta discutendo molto del patto di stabilità che condiziona in maniera importante la possibilità per gli amministratori degli enti locali di portare avanti le proprie scelte politico / amministrative.
Sulla base delle mie conoscenze, provo a spiegare ai lettori cos’è il patto di stabilità e come funziona.
Il patto trae le sue origini dalla necessità di garantire l’equilibrio delle finanze pubbliche dei vari stati aderenti all’Unione Europea (Patto di Stabilità e Crescita). Per raggiungere quest’equilibrio, in Italia, da diversi anni, lo stato ha coinvolto le regioni e gli enti locali assegnando loro specifici obiettivi attraverso il Patto di Stabilità Interno.
Si tratta di un meccanismo di calcolo che, ripescando alcuni dati di bilancio, mette insieme il saldo, tra entrate e uscite, della spesa corrente, contabilizzata con il principio di competenza, ed il saldo della spesa per investimenti, contabilizzata con il principio della cassa, vale a dire pagamenti ed incassi dell’anno. Dal calcolo finale deve risultare ogni anno un saldo finanziario positivo per un importo predeterminato e via via crescente. Tale meccanismo di calcolo non considera le entrate da assunzione dei mutui e le relative uscite per rimborso dei prestiti.
In sostanza, per quanto riguarda le spese in conto capitale, tra cui le opere pubbliche, ai soli fini del calcolo del rispetto del patto di stabilità, le entrate conteggiabili sono costituite solamente da:
- entrate in conto capitale (come gli oneri d’urbanizzazione)
- contributi in conto capitale a valere sulle opere da realizzare (contributi pubblici)
- entrate da vendite di beni costituenti il patrimonio comunale
E’ facile intuire che, se fino a pochi anni fa, per la realizzazione di un’opera pubblica, si poteva ricorrere all’accensione di un mutuo pubblico, l’esclusione dell’entrata derivante da quel mutuo dal meccanismo di calcolo, determina ora la quasi impossibilità di effettuare investimenti in opere pubbliche senza sforare il patto di stabilità (e subirne le pesanti conseguenze ad esso associate), salvo che non si disponga di elevate entrate in conto capitale (oneri di urbanizzazione), che s’inizi a dismettere il patrimonio pubblico dell’ente in favore di nuove opere oppure che l’opera sia in gran parte finanziata da contributi pubblici.
Poiché per le spese in conto capitale il calcolo è effettuato con il principio della “cassa” (vale a dire entrate ed uscite effettivamente registrate nell’anno), in passato alcuni amministratori di enti locali hanno cercato di superare l’ostacolo disponendo ugualmente la realizzazione delle opere, sicuramente necessarie, e rimandando all’anno successivo la maggior parte dei pagamenti riferiti a quell’opera, nell'attesa di individuare altre entrate (diverse dai mutui) che, ai soli fini del rispetto del patto di stabilità, potevano poi consentire l’esecuzione dei pagamenti rinviati.
Nel nostro Comune, da quanto è risultato da una recente dichiarazione dell’Assessore al Bilancio - Barigelli, pubblicata sulla stampa, sembra che negli anni scorsi, per riuscire a rispettare il patto di stabilità, sia avvenuto proprio questo. Si parla, infatti, di spostamento agli anni successivi di pagamenti per circa 660 mila euro per la ristrutturazione della scuola “Crocioni”.
Un modo corretto per rispettare il patto di stabilità, senza creare questi problemi futuri, che prima o poi sarebbero arrivati al pettine, sarebbe stato invece quello di prevedere un saldo positivo nella parte corrente del bilancio, attraverso una forte riduzione delle spese correnti. Tale saldo positivo, avrebbe potuto contribuire, ai fini del calcolo, al raggiungimento dell’obiettivo fissato dal patto di stabilità, senza dover rimandare i pagamenti dovuti.
Da questo punto di vista, purtroppo, negli anni passati, non si è operata questa scelta; anzi, grazie anche alle elevate entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione dovute al boom dell’edilizia (più di tre milioni di euro nei vari anni), le spese correnti hanno viaggiato sempre a ritmi fin troppo elevati e si è ricorso più volte all’utilizzo di parte delle entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione per coprire tali spese.
Ora, leggendo il bilancio di previsione 2010 del nostro Comune, si nota un cambiamento di rotta ed un riequilibrio della parte corrente di bilancio ma è ormai evidente che, a forza di ridurre le spese correnti, si sta ormai raschiando il fondo del barile.
A peggiorare la situazione è intervenuta la recente manovra dello scorso Luglio che, per contrastare la costante crescita del debito pubblico, ha ridotto notevolmente i trasferimenti dello stato a favore di regioni, province e comuni (a minori entrate dovranno corrispondere ulteriori riduzioni di spese correnti in aggiunta a quelle già operate, se si vuole mantenere sempre l’equilibrio di parte corrente).
Gli amministratori locali, a qualsiasi parte politica appartengano, sono tutti concordi nel giudicare l’ultima manovra di Luglio insostenibile per i bilanci degli enti locali ed hanno annunciato inevitabili tagli ai servizi.
Gli stessi amministratori chiedono a gran voce una revisione del meccanismo di calcolo del patto di stabilità che, così come concepito, sta limitando fortemente gli investimenti in opere pubbliche da parte degli enti locali. Da un recente convegno organizzato dalla provincia di Macerata, è emerso che sarebbero ben 90 milioni di euro le risorse che nel 2009 gli enti locali delle Marche (esclusi i comuni con meno di 5000 abitanti, estranei al patto di stabilità) non hanno investito in opere pubbliche o beni e servizi.
Nello stesso convegno è anche emersa la necessità, da parte delle amministrazioni pubbliche locali, di poter contare su risorse stabili nel lungo periodo, così da permettere una programmazione di medio e lungo termine degli investimenti.
Alla stato attuale, come riferito anche dall’Assessore Barigelli in un suo recente articolo di stampa, si conoscono i tagli operati dall’ultima manovra di Luglio mentre non si conosce ancora l’entità delle entrate per il 2011 derivanti dall’attuazione del federalismo fiscale che, almeno in parte, dovrebbero compensare questi tagli.
Si ritiene che queste informazioni debbano essere conosciute dai cittadini ostrensi affinché sia chiaro a tutti che, purtroppo, siamo entrati in un periodo di “vacche magre”. Dovremo tutti affrontare dei sacrifici e, molto probabilmente, dovremo rinunciare per il momento alla realizzazione di alcune opere pubbliche in attesa di periodi migliori che spero possano arrivare in tempi non troppo lunghi.

Scelte condivise per le opere pubbliche

L'articolo a firma Stefano Neri ci suggerisce alcune considerazioni. Condividiamo, data la più che probabile riduzione dei trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali, la prudenza con cui l'Assessore al Bilancio intende affrontare le spese, comprese quelle destinate alle opere pubbliche. ricordiamo quelle ipotizzate dalla Giunta Olivetti: 1) rifacimento delle opere di urbanizzazione di Riviera di mezzogiorno e di Via del Teatro, 2)manto in erba sintetica nel campo polivalente coperto di Via Giovanni XXII; 3) lavori per rendere definitiva la rotatoria provvisoriamente realizzata presso la Frazione Casine; mentre si è detto no alla realizzazione della nuova palestra presso le Scuole Elementari del centro urbano, caldeggiata al contrario dalla attuale minoranza, perché - sostiene la maggioranza - si corre il rischio di non avere, nei prossimi anni, risorse finanziarie sufficienti per pagare le rate del mutuo, nonostante una copertura parziale (15%) assicurata da un Istituto di Credito privato.
Nel piano triennale delle opere pubbliche, presentato qualche mese fa al Consiglio Comunale, ha trovato posto la realizzazione presso l'area della ex fornace, di un presso di scuola materna al servizio delle frazioni Casine e Pianello. Per l'intervento è stata prevista una spesa di 900 mila euro. Certamente del tutto insufficienti.
Riteniamo più logico utilizzare questa somma per un intervento sul padiglione centrale (ex asilo nito) delle scuole elementari "Crocioni" perché, pur confermando la totale inadeguatezza della scuola materna di Casine, questo intervento ci sembra più urgente.
Oggi, alla nuova palestra, si è detto no. C'é da augurarsi, però, che non sia una decisione definitiva. Perché il giorno in cui si riuscisse a trovare i fondi per costruirla, si sarebbe realizzato un "piccolo campus" di scuola elementare. Naturalmente sarebbe anche necessario, su questo fondamentale punto che riguarda la critica situazione di tutte le nostre scuole, nessuna esclusa, trovare un punto di convergenza tra maggioranza e minoranza, per non correre il rischio che quello che si sta facendo oggi venga cancellato domani.
Ed anche per non correre un altro rischio, che, a fine quinquennio, ci si possa trovare di fronte a due incompiute: quella della scuola materna e quella, sempre più cronica ed insostenibile, della scuola elementare.

(b.l.)

Nel ghetto della Lega

di Carla Raffaeli
La Lega è sinceramente votata alla "semplificazione".
Non lo dimostra solo il minisro Calderoli dando fuoco a migliaia di carte obsolete; purtropo lo testimoniano altri leghisti di potere provando a dare alla fiamme principi costituzionalmente garantiti e, perfino, umanamente inoppugnabili.
E' il caso del presidente della Provincia di Udine, che propone di ripristinare nella scuola pubblica "percorsi differenziati" per gli alunni disabili perché l'integrazione scolastica non funziona, anzi crea problemi di apprendimento per chi ha difficoltà e rallenta il lavoro dei "normodotati".
Chi ha conosciuto le "scuole differenziate", dove pure non mancavano insegnanti specializzati e strumenti specialistici, sa che la classe formata solo da bambini e ragazzi con la stessa disabilità creava condizioni assolutamente difficili da gestire sia sul piano del recupero dell'handicap, sia a livello di formazione psico-affettiva e sociale.
Chiudeva i bambini nel ghetto della "diversità" separandoli dai coetanei, con i quali sarebbe stato sempre più difficile, anche in futuro, condividere situazioni di gioco o di lavoro. E tutto questo mentre è noto che un bambino apprende molto, dietro la spinta dell'amicizia e dell'emulazione, anche dai compagni di classe.
Ma l'aspetto che più mi interessa riguarda questo secondo versante: i "normodotati" (parola oltremodo pessima).
In un mondo in cui c'è il rischio di essere schiavi dell'aspetto fisico, del successo, del denaro e del consumo, con tutte le sofferenze che ogni delusione procura, c'è bisogno di capire che in ogni individuo c'è una persona di valore con i suoi limiti e le sue risorse. L'amicizia, la comprensione, l'affetto, la stima non sono legate a nessuno dei beni che la pubblicità reclamizza.
La gioia di una relazione autentica si costruisce in uno scambio di doni diversi. E quel bambino-ragazzo che non sente o non vede, non fa le cose come gli altri, insegnerà ai coetanei qualcosa di fondamentale, prima ancora che gli altri possano aver fatto qualcosa per lui.
Anche in questo caso si ripropone la necessità di un diverso sguardo sulle questioni: semplificare significa tornare all'essenza dei diritti e delle procedure, impegnarsi a risolvere meglio i problemi dell'integrazione attraverso una solida preparazione dei docenti, un'attenta formazione culturale e civile degli allievi, una collaborazione delle famiglie al progetto didattico.
Ogni scorciatoia intreccia invece le innegabili difficoltà a ulteriori nodi.

Viabilità: ora le proposte (della maggioranza e della minoranza)

di Bruno Landi

Non serve, a mio parere, ironizzare su quella riga bianca tracciata da Piazza dei Martiri fino all'altezza della farmacia Cioci.
E neppure su quella serie di "omini" che, all'interno della riga, indicano un ipotetico percorso pedonale. Dico ipotetico perché troppo spesso quello spazio, riservato ai pedoni, è abusivamente occupato da macchine, che vengono a trovarsi in una incredibile situazione di "doppio" divieto di sosta, già indicato dalla segnaletica verticale e ora anche da quella orizzontale.
Una scena curiosa si è verifica in uno dei primi giorni del provvedimento, quanto un autista ha fatto una decina di manovre per tentare di mettere la sua auto all'interno della riga bianca, Non riuscendoci avrà certamente pensato ad un errore da parte di chi aveva tracciato quella riga così stretta!
Fuori di curiosità, dico con estrema franchezza che la misura adottata non mi convince, E, penso, che non risolva il problema. Problema che investe, naturalmente, non soltanto Via Gramsci. Altre sono, infatti, le situazioni da affrontare e noi di "Buongiorno Ostra!" le abbiamo più volte richiamate. Riteniamo, quindi, inutile ripeterle.
Ho recentemente letto di tentativi effettuati da precedenti amministrazioni che ricordavano come non sia facile "conciliare le sacrosante aspettative dei pedoni con le esigenze dei servizi commerciali...". Vero.
Faccio allora una considerazione, che non è poi cosi ovvia o scontata: la viabilità non è né di destra né di sinistra. Lo dico perché nessuno, a parte timidi e non riusciti tentativi, é riuscito ad affrontare e risolvere alla radice il problema.
Lascio perdere, allora, il passato. Guardando al futuro, mi piacerebbe sentire, o meglio leggere, proposte serie, complessive sulla viabilità. E non solo per quanto riguarda le vie del centro storico.
Ognuno, maggioranza e opposizione, meglio se in una seduta pubblica del Consiglio Comunale, si assuma con chiarezza e fino in fondo le proprie responsabilità, facendo le sue proposte, a cui dovranno seguire atti deliberativi.
Ne sono certo: i cittadini sapranno apprezzare e valutare.

OPINIONI A CONFRONTO: il Cda della Casa di Riposo sceglie la Fondazione

di Antonio Maggiori
Presidente del Consiglio di Amministrazione della Casa di Riposo di Ostra

Con L.R. n. 5 del 26/02/2008, la Regione Marche ha disposto che le Case di Riposo dovevano optare per la trasformazione in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP), persone giuridiche di diritto pubblico o in Fondazioni (persone giuridiche di diritto privato) entro il 30.06.2010, termine successivamente prorogato al 30/06/2011.
Il Consiglio di Amministrazione (CdA), ha maggioranza, ha optato per la trasformazione in Fondazione di diritto privato senza scopo di lucro, decisione approvata dal Consiglio Comunale, con motivazione di ordine istituzionale e gestionale.
Si è voluto consolidare il principio di una struttura, la Casa di Riposo / Residenza Protetta, che è e dovrà restare patrimonio della Comunità ostrensi da cui ha avuto origine, anche se aperta alle necessità socio assistenziali dell’intero comprensorio, come previsto dal vecchio e nuovo Statuto. Non rischierà, quindi, di subire decisioni politico/amministrative sovracomunali penalizzanti, come avvenuto in occasione della chiusura della RSA di Ostra, che potrebbero in futuro essere assunte in caso di trasformazione in Azienda Pubblica.
E’ escluso ogni rischio di elusione del perseguimento degli obiettivi statutari, in quanto le finalità da perseguire sia per l’ASP che per la Fondazione sono quelle ben definite nell’atto costitutivo e nello Statuto, che sono formulati nel rispetto delle tavole fondative e della volontà dei benefattori e concordati con il Comune.
E’ assicurata la possibilità di beneficiare di contributi pubblici al pari della ASP; prova ne è il piano dei finanziamenti FAS 2007/2013 approvato con DGR 1823 del 09/11/2009, che tra i soggetti beneficiari dei contributi prevedete: Privato Sociale, Enti Locali, IPAB ed ex IPAB trasformate in ASP o in Fondazioni; questo in armonia con il contenuto della stessa L.R. 5/2008 che, all’art. 21, garantisce l’inserimento delle ASP e delle Fondazioni nel sistema integrato di interventi e servizi sociali e, ad entrambi, possono essere conferiti – dai Comuni e dagli Ambiti – attraverso accordi o convenzioni, ulteriori servizi rispetto a quelli attualmente svolti. E’, quindi, garantita, a pieno titolo, la convenzione con la zona territoriale n. 4 di Senigallia per il finanziamento della assistenza sanitaria ai 56 ospiti della Residenza Protetta che sarà a breve rinnovata fino a tutto il 2013.
Dal punto di vista gestionale, la Fondazione di diritto privato non è sottoposta a tutta una serie di adempimenti burocratico-amministrativi derivanti dalla rigidità delle procedure e dalla necessità di produrre una notevole quantità di documenti cui sono sottoposte le pubbliche amministrazioni e di controlli inutili che avrebbero ricadute negative sulla efficienza ed economicità della gestione e andrebbero a sommarsi ai maggiori costi per la figura del Direttore, prevista per l’azienda pubblica e molto onerosa in quanto a rapporto esclusivo, non sostenibile.
Anche sotto l’aspetto fiscale risulta complessivamente più vantaggiosa la gestione privata rispetto a quella pubblica.
In merito alla gestione del personale, essendo la materia regolata dal codice civile, quindi del tutto svincolata dalla legislazione pubblica in materia di acquisizione, gestione e contratti del personale, i contratti di lavoro UNEBA o simili, meno onerosi per l’Ente, renderebbero conveniente riprendere una politica di assunzioni giustamente sospesa da oltre 10 anni.
Caratteristica importante della Fondazione è la possibilità di acquisire l’adesione di nuovi “partecipanti” che possono alimentare il patrimonio.
In sintesi si ritiene che la Fondazione fornisca gli strumenti necessari per una più efficiente ed economica gestione della struttura a garanzia del proseguimento degli obiettivi statutari negli anni a venire.

OPINIONI A CONFRONTO: le ragioni di un no

di Abramo Franceschini
Consigliere IPAB
MoroniAntoniniMorganti” di Ostra

All’inizio dell’estate il CdA della”casa di Riposo” di Ostra, ha approvato n atto di indirizzo per la trasformazione della stessa in Fondazione, cioè in un Ente di diritto privato.
Ç’alternativa era quella di orientarsi verso una soluzione pubblica che avrebbe meglio conservato l’attuale natura dell’Istituto, scegliendo di diventare un’Azienda di Servizi alla Persona (ASP).
Vorrei evitare di addentrarmi in tediose dissertazioni riguardo problematiche e differenze legate alla gestione fiscale e amministrativa di ASP e Fondazioni e sfruttare questo spazio, gentilmente concesso, per portare alla luce alcune delle ragioni che mi hanno spinto, senza alcuna preclusione politica, a votare contro questo provvedimento di trasformazione.
Il principale deterrente utilizzato dalla maggioranza del Consiglio per caldeggiare la sua scelta è il timore che la struttura un giorno potesse essere chiusa e inglobata da altre, Una paura condivisibile ma facilmente esorcizzabile se solo si guardasse alla situazione delle altre Case di Riposo del territorio (tutte di dimensioni abbondantemente inferiori alla nostra) e con mente lucida si ragionasse sul trend della gestione dei servizi sanitari che si sta via via delineando nella nostra Regione.
Ci si accorgerebbe della volontà, sempre i più manifesta, di radicare e capillarizzare sul territorio strutture socio-assistenziali per la lunga degenza e la residenzialità (ASP, RSA, Residenze Protette, etc..) centralizzando invece quei settori che il politichese applicato alla sanità ha recentemente battezzato come “medicina della complessità”.
Insomma, il rischio per Ostra di perdere un Istituto come il nostro (che tra l’altro non possiede patrimoni e immobili al di fuori della struttura in cui risiede) scegliendo la gestione pubblica non ha alcuna ragione di esistere e sono fortemente portato a dubitare della buona fede di chi, per deviare acqua verso altri mulini, rivendica il contrario.
Anzi, probabilmente diventando Azienda di Servizi alla Persona, si sarebbero potute creare nuove opportunità e prospettive per il futuro della struttura. E’ chiaro che qualora ci saranno risorse da assegnare, finanziamenti, possibilità di potenziare o implementare nuovi servizi, le Fondazioni saranno le ultime ad essere prese in considerazione, essendo la Regione più propensa ad investire in strutture di cui può controllare i bilanci e certificare le attività.
Lo testimonia una situazione che si è già verificata nei fatti alcuni mesi fa. A seguito della partecipazione ad un bando regionale promossa dall’ex-presidente Paradisi, ci era stato conferito un contributo per la realizzazione di un impianto solare termino che avrebbe portato indiscutibili vantaggi alla struttura, sia in termini di consumo energetico che di risparmio economico. Parliamo di un finanziamento a fondo perduto che avrebbe coperto l’80% della spesa, circa 21 mila euro su un totale di 26 mila, un’opportunità come non se ne vedono di frequente. Poche settimane più tardi la Regione ha comunicato che il contributo sarebbe stato valido solo per quegli Istituti che non fossero diventati Fondazioni, Pertanto il progetto è saltato e 21 mila euro sono stati buttati all’aria.
Un altro punto a favore dell’ASP sarebbe stata l’introduzione di una figura dirigenziale, di cui, specie tra i dipendenti, si riscontra la necessità.
Infine un’ultima riflessione, certamente non secondaria. Il bilancio della nostra Casa di Riposo è tenuto in piedi grazie ad un contributo dell’AUR 4 di oltre 400 mila euro, soldi pubblici legati a un consistente numero di posti letto della cosiddetta “Residenza Protetta” che diversi anni fa una buona gestione politico-amministrativa dell’Ente è riuscita ad accaparrarsi. Grazie a questo contributo la Casa di Riposo di Ostra è stata in grado di offrire un servizio di qualità a fronte di rette tra le più competitive del territorio e di costruire un discreto avanzo di amministrazione, fondamentale per far fronte ai numerosi interventi di manutenzione e adeguamento, richiesti da una struttura datata.
La Fondazione una forma giuridica in cui il controllo sulla gestione e sui bilanci risulta essere fortemente circoscritto rispetto alle odierne IPAB: scompare infatti ogni forma di supervisione da parte della Regione, della Corte dei Conti e di ogni altra istituzione sovracomunale.
Per cultura personale e per un’idea alta che ho dell’amministrazione della Cosa Pubblica, non posso ritenere auspicabile che soldi della collettività destinati al sostentamento dei ricoverati e al miglioramento dei servizi offerti, possano essere gestiti da enti che in maniera ibrida ricadono a tutti gli effetti all’interno del diritto privato, seppur trincerati dietro un rassicurante “senza scopo di lucro”. La maggioranza del CdA aveva previsto nello Statuto imprecisati emolumenti e rimborsi per i consiglieri, che a seguito di una battaglia personale sono riuscito a far abrogare nella versione approvata in consiglio comunale.
Concludendo, io credo fermamente che nella gestione di enti come il nostro che hanno nella loro ragione d’essere la salute, l’assistenza e il tenesse delle persone (ancor più di quanto sono soggetti deboli come anziani o disabili) debba essere garantito un assoluto rigore, magari dimenticandosi di alcune regole (o interessi) che solitamente valgono per il libero mercato.
L’unica stessa polare da seguire non può che essere la volontà di offrire il miglior servizio possibile in relazione a rette massimamente contenute.
Senza dimenticare mai che dietro a ogni retta ci sono le pensioni e i risparmi di chi ha lavorato una vita per pagarsi quella che probabilmente sarà la sua ultima casa o i sacrifici di familiari che da soli non riescono più a custodire i propri cari.

mercoledì 30 giugno 2010

Ostra e dintorni: la crisi occupazionale, qualche dato

Questo foglio torna a occuparsi della situazione economico-occupazionale nel nostro territorio, aggiungendo altre voci, questa volta soprattutto di imprenditori, a quelle cui abbiamo dato spazio nel numero precedente.
Ci guida la convinzione che troppe volte i giudizi si basino non su dati e testimonianze precise, ma sul “sentito dire”.
Partiamo dunque dai dati, fornitici questa volta dal Centro per l’Impiego, l’Orientamento e la Formazione (C.I.O.F.) della CGIL di Senigallia. I primi sono dati sintetici che comparano la situazione nel primo quadrimestre degli anni 2008, 2009 e 2010, considerato il fatto che non sono ancora disponibili i dati ISTAT nella loro entità definitiva.


________I quadr. 2008 __I quadr. 2009 __I quadr. 2010
Femmine ______295_________ 445__________ 541
Maschi ________219_________ 483__________ 394

totale ________ 514 _________ 928 __________935


Il quadro, che si riferisce alla situazione nel CIOF Senigalliese facendo riferimento tuttavia alla sola autocertificazione, riporta dati significativi per l’accelerazione e l’ampliamento del fenomeno, oltre che per il divario sempre più consistente tra disoccupazione maschile e femminile, a sfavore di quest’ultima.


Ma andiamo alla situazione dettagliata dei Comuni della Valle Misa-Nevola. È importante collocarli in un contesto più ampio e, in attesa dei dati definitivi del 2009, possiamo farci un’idea dell’andamento del tasso di disoccupazione in Italia e nelle Marche raffrontando il I trimestre degli anni 2008 e 2009

_________________ITALIA _____MARCHE
2009 (I trimestre) ____7,3% ____ 6,6%
2008 (I trimestre) ____6,1% ____ 4,5%

Il tasso di disoccupazione nelle Marche è inferiore a quello complessivo dell’Italia, ma come si vede ha avuto una più forte accelerazione nel 2009.
Il CIOF ci dice che il numero delle persone disoccupate è cresciuto notevolmente nel 2009 arrivando a 4.680 unità.Mancando di una specifica competenza di analisi dell’andamento demografico-occupazionale, ci limitiamo ai dati che parlano con maggiore evidenza.


Flusso dei disoccupati per Comune in rapporto alla popolazione in età lavorativa

Comune _______Femm. % _Maschi % _Totale %

Barbara __________4,73___ 4,05______ 4,39
Castel Colonna ____6,70___ 5,65______ 6,18

Castell. Suasa _____4,82___ 4,06______ 4,43
Corinaldo _________6,62___ 3,54______ 5,03
Monterado ________5,12___ 6,63______ 5,89
Ostra ____________3,37___ 3,09______ 3,23
Ostra Vetere______ 5,40___ 3,04 ______4,22
Ripe _____________6,62___ 5,28______ 5,95
Senigallia ________ 5,81___ 5,35______ 5,58
Serra de’ Conti ____5,33____5.92 ______5,63

totale ______5,55___4,94______ 5,25
(dati al 31/12/09 – Fonte JobAgency)

Leggendo tra i numeri possiamo registrare che i Comuni della Valle, con tre sole eccezioni, hanno una percentuale di disoccupazione inferiore a quella delle Marche e dell’Italia. Ostra occupa addirittura l’ultima posizione con la percentuale più bassa.
Anche questi dati confermano un fatto che storicamente si ripete. Le donne non solo hanno maggiore difficoltà a trovare un’occupazione, ma subiscono ancor più degli uomini il flusso di disoccupazione. Sul primo fenomeno incidono soprattutto la scarsità e il costo elevato dei servizi ai bambini in età prescolare, la difficoltà di conciliare impegni casa-famiglia con orari di lavoro. Sul secondo influisce la tipologia preminente di occupazione femminile nelle aziende manifatturiere dell’alimentazione e dell’abbigliamento. Quest’ultimo settore risulta oggi particolarmente in crisi per il diffondersi della delocalizzazione delle aziende in altri Paesi, della concorrenza nei processi di produzione e commercializzazione da parte dei paesi emergenti. Lo sanno bene le donne che hanno visto chiudere la maggior parte delle industrie di confezioni proprio nel territorio della Valle.
Non basta prendere atto della situazione. Occorre chiedersi che cosa si può e deve fare per riavviare il processo di sviluppo agendo sul volano del sostegno all’imprenditoria, sulla formazione e riconversione delle competenze dei lavoratori, sui servizi alle famiglie. Si tratta di un impegno che coinvolge tutti: le categorie imprenditoriali e lavorative, gli istituti finanziari, le istituzioni a partire dai Comuni. Questi ultimi, in particolare, debbono sviluppare il carattere consortile delle iniziative e dei servizi per rispondere meglio alle esigenze della crisi in atto, in termini di economicità, tempestività ed efficacia degli interventi.

Una locale ditta del settore dell’abbigliamento

Facendo seguito a quanto apparso nel precedente numero di Buongiorno Ostra, circa l’attuale situazione economica delle aziende locali, abbiamo raccolto la testimonianza di una ditta artigiana che è sul “campo di battaglia”.
La ditta di confezioni di abbigliamento di Ostra, nei prima anni dalla nascita (1986), ha vissuto il boom proprio del settore: continua crescita delle commesse di lavoro (fino a 20.000 capi a stagione) e conseguente aumento del personale: nel 1990, contava 12 dipendenti. Ma alla fine degli anni novanta per l’impresa inizia la crisi. In particolare, nel 1998, la principale ditta per cui lavorava ha trasferito la produzione all’estero, riducendo drasticamente le commesse e da allora ha dovuto ricercare continuamente il lavoro, accontentandosi spesso di quello di “seconda mano”, ovvero quello in cui i margini di guadagno sono bassissimi.
Oggi, la ditta artigiana è rimasta con 3 operaie e sta attraversando il periodo più difficile della sua storia e teme che il peggio ancora dovrà capitare se le condizioni non muteranno. In merito, la titolare ritiene che sia necessario lo sviluppo di più fattori, di seguito riepilogati, per migliorare la propria situazione e quella delle altre aziende del settore.
Innanzitutto, il mercato del tessile e dell’abbigliamento dovrebbe essere meglio regolamentato: la manodopera, in particolare quella straniera, va legalizzata, il sommerso va controllato, perchè fin tanto che sarà concesso il lavoro a coloro che non rispettano le regole, per le ditte locali sarà sempre più difficile sopravvivere. Il Governo, inoltre, dovrebbe provvedere a ridurre il costo dei dipendenti: finora, nei periodi in cui il lavoro non c’era, la ditta ha usufruito della cassa integrazione che le ha consentito di non licenziare le operaie, ma considerato che la stessa indennità sociale sta per esaurirsi, la titolare teme per il futuro delle proprie dipendenti.
Le banche dovrebbero essere più solidali con le piccole aziende; in questo momento critico stanno, invece, limitando la concessione del credito, soprattutto di quello commerciale che procura immediata liquidità all’azienda, come ad esempio le operazioni di anticipo delle fatture. A ciò, si aggiungono le difficoltà nel recuperare il credito vantato nei confronti dei sempre più numerosi clienti insolventi. Anche le locali associazioni di categoria che non sembra abbiano dato un impulso importante per la ripresa del settore, dovrebbero adoperarsi per meglio rappresentare le imprese nei “palazzi” che contano, a vantaggio del mercato dell’abbigliamento e del tessile. Infine, la titolare auspica una maggiore cooperazione tra le aziende locali che operano nel suo stesso settore.
Ma nonostante le quotidiane difficoltà, la continua ricerca del lavoro che “non sia una rimessa”, la titolare desidera continuare la sua attività, quella per cui ha impiegato la vita e confessa che oggi è la “tigna” che la fa andare avanti.

“La nostra terra è il mare"

Pelliccia srl dei fratelli Gabriele, Gianni e Adriano, impresa lavori marittimi, è nata con il maggiore dei tre fratelli, Gabriele, ben 47 anni fa. Gli inizi, come per tutti i giovani di allora, pieni di buona volontà, ma privi di specifiche esperienze, è cominciata come “fabbri di campagna”. E’ proseguita con gradualità, con grande impegno, fino ad arrivare al salto di qualità attorno alla metà degli anni ’80. Gabriele, un autentico “self made man”, nel corso di questi lunghi anni ha conosciuto tante imprese impegnate nei lavori sul mare. Il suo è stato un costante “apprendistato”, un incessante “corso di aggiornamento”. E, oggi, con una certa soddisfazione, ci dice che molti di questi colleghi li ha raggiunti e anche superati.
Grandi commesse per grandi lavori da eseguire con macchine poderose. Che escono dall’officina di Pianello dove lavorano attualmente circa 20 operai e quattro impiegati.
Altri operai, pochi delle nostre parti, si trovano sul cantiere del porto turistico di Fiumicino.
Altri ancora sul porto turistico della cooperativa pescatori di Salerno, cantiere al quale i fratelli Pelliccia forniscono le attrezzature.Lavoro complesso. Concorrenza anche internazionale. “Non è facile stare sul mercato.

Occorre essere molto competitivi ed avere personale molto qualificato”. E, almeno, per questa impresa di Pianello non sembra esserci aria di crisi. Tutt’altro. Tanto che Gabriele ci dice:”Si parla tanto di lavoro, di occupazione. Eppure se noi cerchiamo un operaio facciamo fatica a trovarlo”.
Nessun problema, e considerato ciò che si sente dire in giro, anche questa è una notizia, neppure con gli istituti di credito.
E’ soddisfatto il maggiore dei fratelli Pelliccia.
Ed è pure fiducioso per il futuro dell’azienda, che finirà molto probabilmente nelle mani di suo figlio e di suo nipote.

Dal biroccio al tavolo

Aristodemo Bernacchia, per gli amici “Nino”, è l’ultimo discendente di una famiglia che per secoli ha lavorato il legno. Naturalmente il nonno, il bisnonno e, per molti anni anche il babbo Santino, fabbricavano “birocci”. Poi, quel mercato si è esaurito e la ditta Bernacchia si è orientata sulla produzione di tavoli.
Nino è approdato alla bottega paterna, trasferitasi da Ostra a Pianello circa alla metà degli anni ’50, appena finiti gli esami di terza media. Quella di orientarsi sulla produzione di tavoli è stata certamente una felice intuizione, perché – “pur dovendo fare i conti con i mutevoli gusti del mercato” - il prodotto ha sempre tirato.
Dieci operai in fabbrica rappresentano una presenza costante; così come il lavoro decentrato a tante piccole aziende artigiane della nostra regione.
Anni fa la ditta esportava tavoli in molti paesi europei e anche in taluni extraeuropei; oggi il mercato è prevalentemente quello italiano. Con una eccezione: la Russia e anche un po’ di Siberia, dove grazie alla presenza di un nostro concittadino, che fa la spola tra l’Italia e Mosca, è nato un mercato interessante.
Molta produzione finisce a grossisti veneti, che rivendono in tutto il territorio nazionale.
L’azienda ha, comunque, suoi clienti, anche in regioni come la Sicilia, la Calabria e la Puglia, da dove partono molti carichi di tavoli per la Grecia.
Il lavoro, quindi, non manca. E’ necessario, però, adeguarsi continuamente ai prezzi della concorrenza internazionale, particolarmente quella dei paesi emergenti.
Ed anche il rapporto con le banche, particolarmente quella locale, è buono.
Una curiosità, infine. Una quindicina di anni fa, la ditta si era avventurata sul riciclaggio di materiale plastico. Una lavorazione quasi pionieristica per la nostra zona. La fabbrica lavorava 24 ore su 24, con macchine inevitabilmente rumorose. Troppo rumorose, almeno per le abitazioni vicine alla fabbrica. Conseguenti le proteste dei residenti.
E, dopo cinque-sei anni, inevitabile è stata la chiusura di questa interessante lavorazione.
Purtroppo è impossibile - conclude Bernacchia - far convivere le zone produttive con quelle abitative.

“Puntare su qualità ed eccellenza”

Un anno in salita, il 2010”. Comincia così la nostra chiacchierata con Fabio Luzi, titolare insieme al fratello Fabrizio, dell’azienda, nata 30 anni fa con il solo Fabio, mentre Fabrizio completava il corso degli studi.
Un tempo l’azienda occupava 11 operai. Oggi, con una crisi che “ci ha portato indietro di 15 anni”, ne sono rimasti 6, più i due fratelli.
Un 2010 che procede all’insegna della grande preoccupazione per molte aziende: ben 153, infatti nel senigalliese, afferma Fabio, Presidente della Confartigianato di Ostra e Ripe, hanno cessato quest’anno la loro attività.
Per superare la crisi, continua Luzi, è necessario puntare sulla qualità e sulle eccellenze, requisiti in possesso delle nostre piccole e medie imprese. Qualità che deve essere ricercata in tutti i campi e pretesa non solo dai produttori, ma anche dai consumatori. Non è tempo di piangersi addosso. Dobbiamo avere stima di noi stessi, credere nelle nostre capacità. La nostra, certo non da oggi, è “una civiltà delle eccellenze”. Patrimonio che dovremo non solo conservare, ma anche accrescere, difendendo l’artigianato, fatto di una infinità di piccole imprese, “motori inossidabili”, che sanno trasmettere valori, tradizioni, impegno ed entusiasmo.
Questo il “messaggio” che Fabio Luzi lancia alle centinaia di suoi colleghi, ai quali chiede di credere che “lavorare non significa solamente produrre reddito, ma significa anche produrre qualità ed eccellenza, affinché il consumatore rifiuti il brutto e il mediocre e scelga il “made in Italy”. Per uscire dalla crisi serve più professionalità, più capacità imprenditoriale. Se vogliamo, questo è il segreto per ritornare ad avere un territorio più forte e assicurare un futuro alle nostre famiglie ed in particolare ai giovani”.

Edilizia: timida ripresa

Carlo Paradisi, dell’impresa “Paradisi costruzioni”, sottolinea che tra il 2007 e il 2008 la crisi edilizia è stata rilevante e ha visto il crollo verticale delle vendite.
Una lieve ripresa si è registrata nel corso del 2009 concretizzando la quantità delle vendite tra la fine del 2009 e il primo semestre del 2010.
Naturalmente la debolezza del mercato ha avuto riflessi pesanti sull’occupazione e ha richiesto all’Azienda una strategia volta a un’oculata gestione del personale. Mentre tecnici e amministrativi hanno potuto mantenere il posto di lavoro attraverso una gestione flessibile dell’orario e un accorto utilizzo della cassa integrazione, sul versante degli operai si è cercato egualmente di evitare il licenziamento, ma non si è potuto rinnovare i contratti a termine.
Nonostante la ripresa, nulla è più come prima. Se la richiesta di informazioni è dinamica e vivace, l’interesse all’acquisto della casa si concretizza con più difficoltà in un atto di compra-vendita.
Inoltre l’imprenditore è molto più attento e accorto nella trattativa in quanto non è più lui a dettare le condizioni, ma un mercato dove la concorrenza e la conseguente tendenza a ridurre il prezzo sono dominanti.
Certamente è cambiato anche il rapporto con gli istituti finanziari, che esigono ben più solide garanzie sia all’acquirente che alle imprese. Le banche non rifiutano il loro sostegno alle imprese, ma sono loro a dettare le condizioni e non sono più disposte alla copertura totale del debito, ma solo a sostenerne una quota.
Per l’edilizia si aprono comunque orizzonti molto interessanti, soprattutto nell’ambito delle nuove tecnologie richieste dalle disposizioni, oggi assai difformi da regione a regione, sulle caratteristiche termiche delle abitazioni. Se fino a ieri era richiesto alle nuove costruzioni la più bassa dispersione possibile di calore, oggi il criterio ormai affermato riguarda il più basso consumo energetico possibile.
È un processo di innovazione destinato a valorizzare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile nell’ambito dell’edilizia con importanti riflessi tecnologici, occupazionali e di mercato.

Maledetta viabilità

Ma chi l’ha detto che una piccola minoranza di cittadini indisciplinati debba avere il sopravvento su centinaia di persone, di cui molti anziani e bambini, costrette a fare slalom tra le macchine in soste e quelle di passaggio, a loro rischio e pericolo?
E’ quanto succede ad Ostra, e non solo nel centro storico dove, da un’infinità di anni, imperversa “sosta selvaggia”.
I segnali, sembra ovvio ma non lo è, vanno rispettati. E chi non li rispetta è giusto che venga punito con una ammenda. Se invece non si vuole o non si riesce a farli rispettare, è più corretto e giusto toglierli. La storiella che ci sono pochi Vigili Urbani, o che quelli che ci sono non hanno il tempo per effettuare i controlli, non regge. In verità non c’è alcuna volontà di affrontare decisamente il problema. Se i controlli venissero attuati sistematicamente, almeno per un certo periodo, in breve tempo la situazione si “regolarizzerebbe”.
La critica non riguarda soltanto gli attuali amministratori, perché nessuno, neppure nel passato più remoto, è mai riuscito a debellare questo “fenomeno”. Che - a ben guardare – è tutto ostrense: gli altri paesi a noi vicini, infatti, hanno saputo affrontarlo e risolverlo.
Da qualche mese è al lavoro una commissione appositamente costituita per affrontare il problema. L’unica soluzione ipotizzata sembra riguardare, per il momento, la sola Via Gramsci. E non si capisce perché non anche Corso Mazzini, ed altre vie, come un bel tratto di Viale Matteotti, dove il problema è altrettanto pesante. Lungo il Viale, dopo il semaforo, si dovrebbe parcheggiare solo su un lato. Meglio ancora sarebbe utilizzare, per la sosta, l’ampio piazzale davanti alla Chiesa dei Cappuccini.
Provo ora ad avanzare due proposte: una per Via Gramsci, dove andrebbero posizionati due paletti e una catenella all’imbocco, altezza Foto Ubaldi-Edicola Barchiesi. Si parcheggia in Piazza Grande, dove ausiliari del traffico (ecco l’altra proposta) controllano il disco orario.
Altro comodo e ampio parcheggio anche in Largo XXVI Luglio dove, almeno fino al Cippo dei Partigiani, vige il disco orario.Si istituisce una pensilina a fianco dell’ex panificio Sdruccioli, dove verranno posizionati carrelli porta spesa. Cominciamo da qui. E poi andiamo avanti, sapendo perfettamente che ci sarà chi condivide e chi, invece, sarà decisamente contrario. La peggiore delle decisioni, però, resta sempre quella di non decidere
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Bruno Landi

venerdì 30 aprile 2010

Nate 46 aziende in tre mesi. Performance migliore di tutta la provincia. In ripresa il settore tessile; edilizia e metalmeccanico ancora in difficoltà

Abbiamo chiesto al Dr. Giacomo Cicconi Massi, Responsabile mandamentale della Confartigianato, di illustrarci sinteticamente l’andamento del settore artigiano nel nostro territorio.
Lo ringraziamo per il prezioso contributo.
Nel primo trimestre 2010 sono nate, nel nostro comprensorio (Valli Misa e Nevola) 46 nuove aziende. Questo è quanto emerge dai dati elaborati dal centro studi Confartigianato sulle aperture di aziende tra gennaio e marzo 2010. Sono dati che denotano come, nonostante la congiuntura economica sfavorevole che stiamo attraversando, il territorio abbia una gran voglia di reagire e di lasciarsi alle spalle i momenti di grave difficoltà che hanno piegato l’economia dei nostri Comuni. Alle 46 nuove iscrizioni all’albo artigiani fatte registrare nelle valli in questi tre mesi, seguono 28 cessazioni e dunque il bilancio è di + 18.
Nel Comune di Ostra ci sono state 4 iscrizioni (2 nel settore dell’edilizia, 1 nel legno e 1 nella meccanica) a fronte di 2 cessazioni con un bilancio positivo di + 2.
Il bilancio del nostro comprensorio, se paragonato a quello di altri distretti che fanno registrare o il segno meno o una modesta crescita, è senz’altro il più positivo. Tuttavia se i dati inducono ad un cauto ottimismo ed i settori tessile e legno fanno registrare buone performance (tessile con ben 10 nuove aziende a fronte di 3 cessazioni, legno con 7 iscrizioni e 4 cessazioni, +3) un’analisi sui parametri aziendali di bilancio e quindi sul fatturato, sugli utili e sull’occupazione mostrano come la ripresa sia ancora piuttosto lontana. La situazione finanziaria di molte aziende continua ad essere particolarmente difficile e gli utili si sono drasticamente ridotti (- 20% - 30% nei casi migliori). A reggere meglio economicamente e finanziariamente rimangono certamente le aziende che hanno investito innovando i processi produttivi e puntando sulla qualità, assieme a quelle operanti in conto proprio. Per le imprese costrette invece a lavorare per conto terzi perdura purtroppo una situazione finanziaria critica.
Che cosa poter fare dunque per arginare la crisi? La Confartigianato, proprio per andare incontro alle mutate necessità imprenditoriali ha sviluppato, a fianco degli strumenti tradizionali (credito, contabilità e paghe), dei servizi innovativi basati sulla definizione di un “Piano Strategico”, di strumenti avanzati di “Marketing”, su un accurato “Controllo di gestione” e facendo un’attenta “Pianificazione finanziaria”. “Solo così, investendo sulla qualità dei servizi erogati, saremo in grado di poter aiutare le nostre imprese a superare questo difficile momento”. Una mano importante a tutto ciò potrebbe arrivare anche dal turismo. Ostra con il suo centro e le sue bellezze e la Confartigianato con alcune iniziative importanti quali la Mostra Nazionale di Antiquariato unita ad alcuni progetti tesi alla valorizzazione del territorio e dell’artigianato artistico, potranno rappresentare una importante risorsa, alternativa o complementare al turismo della spiaggia e della costa.
Iscrizioni e cessazioni nel SENIGALLIESE nel primo trimestre 2010 (Gennaio-Marzo)Fonte: Centro Studi Confartigianato su dati Albo Imprese artigiane

Comuni Iscrizioni Cessazioni Saldo
Barbara 0 0 0
Castelcolonna 2 0 2
Castelleone di S. 0 2 -2
Corinaldo 5 1 4
Monterado 3 2 1
Ostra 4 2 2
Ostra Vetere 0 0 0
Ripe 5 4 1
Senigallia 27 17 10

Totale Senigalliese 46 28 18


Settori Iscrizioni Cessazioni Saldo
Tessile 10 3 7
Alimentari 3 1 2
Stampa grafici affini 2 0 2
Edilizia 9 10 -1
Fotografi e affini 2 0 2
Legno 7 4 3
Metalmeccanica 6 6 0
Parrucchieri e affini 4 2 2
Trasporti cose e pers. 1 0 1
Attività e servizi vari 2 2 0

Totale Senigalliese 46 28 18
di Giacomo Cicconi Massi

Partiti e territorio

di Carla Raffaeli

Abbiamo voluto dedicare questo numero ad alcune testimonianze sulla situazione economica locale, con un’apertura anche verso gli indirizzi dell’amministrazione cittadina, nel momento in cui viene varato il Bilancio di Previsione, documento fondamentale di programmazione.
I lettori troveranno dati e valutazioni, che provengono da esperienze concrete e studi approfonditi, in grado di fornire elementi di conoscenza e di riflessione, utili a qualunque discussione seria.
Troppe volte infatti ascoltiamo dibattiti in cui il confronto è dettato da opinioni costruite su pre-giudizi ideologici o intenti propagandistici, più che sull’analisi conoscitiva dei fatti.
Ci è sembrato perciò utile focalizzare la nostra attenzione e richiamare quella dei lettori sul tema della crisi economico-finanziaria, specificamente sui modi in cui si presenta ed è vissuta nel nostro territorio e nei vari settori produttivi. Non abbiamo voluto affidarci all’immaginario del sentito dire, ma ad operatori che, da un punto di osservazione allargato, potessero fornire dati e informazioni, relativi ai fenomeni e alle strategie di intervento.
Ci sembra che la politica, non solo nelle sue vesti istituzionali, ma anche nelle forme organizzate di base (in altre parole, i partiti) dedichi poco del suo tempo e del suo impegno all’analisi, all’approfondimento, alle proposte su questi temi fondamentali, tutta volta, com’è, alle sfide interne ed esterne. Mentre l’amplificazione mediatica dà man forte all’operazione.
Ma d’altronde oggi è fuori moda parlare di “partito” e se la parola torna in uso, le si attribuisce subito la qualità di “liquido”, “aperto”. Che poi corrisponde esattamente ad un modello di debole organizzazione e scarsa presenza sul territorio. Ecco, la parola “territorio” sta invece riprendendo vigore, ma si riferisce soprattutto a una modalità tutta leghista di essere vicino alla gente, di ascoltarne la voce, i problemi, le lamentele. E’ quello che facevano i vecchi partiti, solitamente, non sempre, con una differenza sostanziale: la cultura dei partiti aiutava a guardare più in là del proprio naso, al problema comune, da affrontare senza egoismi e pregiudizi.Il nostro è un piccolo foglio, con uno spazio e una capacità di diffusione limitati, assolutamente inadeguati rispetto al problema che segnala. Vogliamo comunque parlarne insieme e contiamo ancora sulla collaborazione dei lettori, che vorranno intervenire, segnalando situazioni, positive o negative, raccontando storie personali o collettive.

Il rapporto Banca-Impresa

di Nicoletta Principi
Il rapporto “Banca-Impresa” è da sempre uno dei temi centrali, quando si parla di economia, che spesso “accende” gli animi di coloro che sono chiamati a discuterne. Specie nell’ultimo anno, attraversato dalla crisi mondiale, gli interlocutori sembrano essere ancora più diffidenti: da un parte le imprese, soprattutto quelle medie e piccole, che accusano le banche di aver ristretto la concessione del credito proprio nel momento in cui più occorreva; dall’altra parte le banche che ritengono, invece, di aver svolto correttamente il ruolo di sostegno all’economia, affidando coloro che sono meritevoli dal punto di vista creditizio. Per me che lavoro nel mondo bancario e contemporaneamente sono figlia di un piccolo artigiano, le due cose sono egualmente vere.
In alcuni casi, alle imprese che necessitano di finanziamenti per far fronte alla diminuzione di fatturato e alle forti tensioni di liquidità, tali finanziamenti non vengono concessi perchè ritenuti troppo rischiosi dalla banca, la quale, a sua volta, nega la concessione nel rispetto delle regole dettate dalla Banca d’Italia in tema di adeguatezza patrimoniale (c.d. Basilea 2), a copertura dei rischi, primo fra tutti il rischio di credito.
Le modalità di gestione e controllo del rischio di credito, che la banca attiva nell’ambito della concessione di finanziamenti, seguono un complesso procedimento, spesso sconosciuto alle imprese. Le strategie e le politiche creditizie di un Gruppo bancario sono finalizzate al raggiungimento di obiettivi di creazione valore, coerenti con i livelli di rischio prescelti, attraverso la diversificazione del portafoglio a livello settoriale, geografico e alla fissazione di limiti massimi sulla singola esposizione.
In particolare, vengono prodotte stime interne, utili alla valutazione del merito creditizio della propria clientela per ottenere misure più accurate dei rischi assunti e dei rendimenti associati.
Inoltre, attenzione è riservata al merito creditizio e al livello di patrimonializzazione della clientela affidata mediante lo svolgimento di attività di monitoraggio andamentale sulle posizioni creditizie, che consentono, attraverso la valutazione degli indicatori di degrado delle esposizioni, di cogliere i segnali anticipatori del default.Tali elementi, forse eccessivamente tecnici, andrebbero chiariti nell’ambito sia dell’ordinaria dialettica tra le parti, sia in sempre più numerosi specifici incontri, al fine di superare assieme, banca e impresa, la crisi, favorendo la ripresa dello sviluppo economico.

La nostra agricoltura merita di più

Abbiamo chiesto a Maurizio Monnati, Segretario Provinciale della Coldiretti, un intervento sull’agricoltura marchigiana. Lo ringraziamo per l’interessante articolo

E’ un periodo difficile per la nostra agricoltura, tra i più difficili della nostra storia. I prezzi dei prodotti agricoli sono precipitati e con essi la redditività delle imprese. Tutto questo, però, non è un effetto della crisi internazionale che ha investito anche il nostro territorio e, con esso, i vari settori produttivi, con conseguenze gravi su consumi e occupazione.
Il momento di difficoltà generale ha avuto qualche riflesso, è vero, nelle nostre campagne, ma va sottolineato che i consumi alimentari hanno sostanzialmente tenuto. La vera causa della crisi in agricoltura va dunque ricercata altrove, e in particolare in quelle che sono due grandi ingiustizie, due furti che vengono praticati ogni giorno ai danni di chi opera in campagna. Il primo è il furto di valore aggiunto. Per ogni euro speso dal consumatore, solo 17 centesimi finiscono nelle tasche degli agricoltori e questa forbice si sta allargando sempre più. Già, perché i centesimi che noi prendiamo per le nostre produzioni diventano euro per il consumatore finale nel passaggio attraverso la filiera, con aumenti speculativi e ingiustificati.
L’altro furto che subisce la nostra agricoltura, anche questo molto grave, è il furto d’identità. Troppo cibo viene spacciato per made in Italy ma in realtà non lo è. Pensate che solo un prodotto su tre che si vende nel nostro Paese è veramente italiano. Se poi guardiamo alla situazione mondiale, il rapporto diventa di uno su quattro. Tutto ciò ci fa capire che la vera ragione per la quale l’agricoltura non vede riconosciuto il proprio lavoro è che non ha potere contrattuale nella filiera. Il potere contrattuale è un fatto economico e si recupera con progetti di carattere economico.
E’ per questo che Coldiretti ha lanciato il progetto per una filiera agricola italiana, un progetto che punta all’interesse dei consumatori, delle imprese e dell’intero territorio. Un progetto, dunque, per tutto il Paese, che garantirà la trasparenza e la provenienza del vero made in Italy, quello che nasce totalmente dai nostri territori, per farlo arrivare ai consumatori al giusto prezzo senza speculazioni e contraffazioni.
In questo modo intendiamo rilanciare una economia reale, e cosa c’è di più reale del prodotto del territorio che diventa cibo, cibo made in Italy? E’ in questa direzione che dobbiamo lavorare tutti assieme: imprese, associazioni, politica. Perché la nostra agricoltura merita di più.
Maurizio Monnati

Approvato il Bilancio di Previsione 2010: intervista all’Assessore al Bilancio e Tributi, Luigi Barigelli

di Stefano Neri

Lo scorso sabato 17 aprile, il Consiglio Comunale ha approvato il bilancio di previsione per l’anno 2010. Anche negli anni passati ci siamo occupati di questo importante documento, poco conosciuto dai cittadini.
Per tale ragione, abbiamo intervistato l’Assessore al Bilancio Luigi Barigelli che, gentilmente, ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

- Assessore, in Consiglio Comunale ha definito questo bilancio “in frenata”. Quali le motivazioni?
- Si tratta di un bilancio che risente inevitabilmente della crisi economica in atto e dei vincoli di finanza pubblica sempre più stringenti. Le entrate correnti sono purtroppo in diminuzione, così come diversi trasferimenti pubblici che risentono dei tagli da più parti operati.
- A fronte di queste minori entrate, avete previsto degli aumenti di tariffe e tasse?
- A differenza di altri Comuni limitrofi, dove gli aumenti hanno raggiunto punte fino al 30%, abbiamo limitato al massimo gli aumenti di tasse e tariffe per non aggravare ulteriormente la situazione finanziaria dei cittadini ostrensi, già in difficoltà per la crisi economica. La tassa rifiuti non ha subito alcun aumento.
Alcune tariffe e servizi a domanda individuale, hanno subito minimi aumenti, affiancati però a sconti per le famiglie numerose.
- Allora siete intervenuti sul fronte della spesa?
- Certamente! E’ stato eseguito un attento esame di tutti i capitoli di spesa, soprattutto di quella corrente, al fine di contenere i costi e ridurre tutti i possibili sprechi. Rispetto al bilancio di previsione 2009, abbiamo previsto minori spese correnti per oltre 380 mila euro. Tutti i settori sono stati interessati dai tagli, alcuni in misura minore (sociale e istruzione) altri in misura maggiore. Si è riusciti in ogni caso a mantenere tutti i principali servizi già offerti negli anni precedenti e sono state programmate nuove iniziative di rilievo, anche nei settori interessati dai tagli (ad esempio la pista di pattinaggio o la stagione teatrale) grazie soprattutto all’ausilio di Associazioni, Imprese e Banche locali.
- Per gli interventi di manutenzione straordinaria sul patrimonio comunale e per nuove opere da realizzare, cosa avete programmato?
- Dobbiamo fare i conti, anche qui, con un pesante crollo dei proventi per oneri di urbanizzazione, ridotti alla metà rispetto al 2009 (e ad un quarto rispetto agli anni precedenti), e con una riduzione di altre entrate in conto capitale.
Questo rilevante calo finisce per limitare fortemente anche la possibilità di effettuare consistenti stanziamenti per gli interventi di manutenzione straordinaria sul patrimonio comunale (immobili, strade, scuole). L’attento esame, condotto anche in questi capitoli di spesa, ha permesso in ogni caso di individuare quelle somme in conto residui che potranno sopperire ai principali interventi da effettuarsi nel 2010. Inoltre, sin dal prossimo mese di maggio, potrà essere utilizzato anche l’avanzo di amministrazione proveniente dal 2009 e derivante da importi già stanziati in passato ma sui quali sono state realizzate delle economie di spesa. Nel bilancio 2010, ed in quello pluriennale, tra i vari interventi è prevista la sistemazione e l’ampliamento della palestra delle scuole “Crocioni”, interventi riguardanti la scuola materna, la realizzazione di un nuovo colombario nel civico cimitero e la realizzazione di alcuni progetti già programmati dalla passata amministrazione che, seppur avviati, erano solamente in fase embrionale (sistemazione delle Riviere e secondo stralcio dei Centri Commerciali Naturali). Altri importanti interventi sono previsti sulle frazioni; uno fra questi, la rotatoria di Casine che diventerà definitiva.
- Due parole sul patto di stabilità. Dopo aver rispettato gli obiettivi nel 2009, cosa prevedete per il 2010? E perché, a proposito delle regole che non sono cambiate ha aggiunto “purtroppo”?
- Perché negli ultimi dieci anni le regole sul patto sono cambiate ogni anno o anche più volte in un anno, mentre per il 2009 e per il 2010 la norma si è stabilizzata nella sua formulazione peggiore. Le regole attuali sono molto più stringenti che negli anni passati e penalizzano gli enti più “sani” a favore di quelli in difficoltà. Con queste regole i comuni si troveranno con ingenti somme ferme in banca, ma con gli edifici pubblici a pezzi, perché è penalizzata proprio la spesa per investimenti.
Ciononostante abbiamo programmato il rispetto dei vincoli anche per il 2010, anche se ciò comporterà un attento controllo delle spese in conto capitale.
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Ringraziamo l’Assessore Barigelli per la disponibilità accordataci.

Le “linee” del Bilancio di Previsione

di Bruno Landi

Dell’intervista rilasciata dall’Assessore al Bilancio, Luigi Barigelli, al nostro Stefano Neri colpisce, tra gli altri, un dato che merita un approfondimento. E, per quanto mi riguarda, una seria riflessione.
Afferma l’Assessore che nella Previsione del 2010, rispetto alla previsione dell’anno precedente, “abbiamo previsto minori spese correnti per oltre 380 mila euro”. Una somma ragguardevole, pur nella considerazione che – sono ancora parole dell’Assessore – “tutti i settori sono stati interessati dai tagli…e si è riusciti a mantenere tutti i principali servizi…”.
Voglio dire subito di trovarmi d’accordo su questa “linea” seguita nell’impostazione del Bilancio. Anche se è una linea dettata dalle vigenti disposizioni e magari non da una libera scelta. Ritengo, infatti, e non da oggi, che serve maggior rigore nelle spese di tutte le Pubbliche Amministrazioni: dai Ministeri in giù, passando per Regioni, Province e Comuni. E non solo per rispetto nei confronti dei cittadini, ai quali si chiedono continuamente maggiori sacrifici. Ma anche per liberarci gradualmente da quel peso abnorme degli interessi passivi (70 miliardi di euro) che ogni anno pesano sulle casse statali.
E mi chiedo: se il Bilancio predisposto “è vero”, e lo verificheremo in corso di esercizio finanziario, come è stato possibile, a parità di servizi erogati, poter “risparmiare” 380 mila euro? Non credo solo eliminando gli sprechi. O limando qua e là i diversi o tutti i Capitoli di spesa. Mi piacerebbe conoscere in dettaglio come ci si è mossi, perché io sono tra quelli che ritengono che forti risparmi, nei pubblici bilanci, si ottengono soltanto con una rigorosa “politica sul personale”.

domenica 28 febbraio 2010

Una proposta

di Antonio Mallucci (Ex Sindaco di Ostra)
Alcuni giorni prima di Natale, una TV locale ha dato la notizia della decisione di un Sindaco del Fermano in merito allo svolgimento dei cortei funebri nel suo Comune.
Con propria ordinanza il Sindaco ha vietato i cortei che accompagnano i defunti al cimitero, dopo la messa funebre, per motivi di sicurezza e incolumità pubblica. La decisione del primo cittadino ha avuto origine dal fatto che il percorso del corteo si snoda lungo una strada frequentemente transitata da automezzi di ogni tipo e che l’accompagno funebre a piedi costituisce, ogni volta, un problema per le persone che vi partecipano e per gli automezzi che nello stesso momento lo incrociano.
Il provvedimento sindacale ha visto l’opinione pubblica divisa tra i favorevoli e i contrari o, meglio tra coloro che ritengono giusto mantenere la tradizione del corteo pedonale e quanti, invece, considerano il problema della incolumità delle persone di preminente attenzione. Ma ciò che maggiormente ha fatto notizia è che tra i favorevoli all’ordinanza del Sindaco si sono schierati anche i parroci del posto.
Ho segnalato la notizia suddetta per richiamare l’attenzione dei lettori di “BUON GIORNO OSTRA” sul problema che a mio parere esiste anche per noi Ostrensi, o meglio dire per i residenti del capoluogo. Per i residenti delle frazioni, infatti, il problema non si pone, in quanto l’accompagno avviene esclusivamente con le auto private, al seguito del carro funebre dalla chiesa al cimitero.
Allora, per i parrocchiani di Santa Lucia e di Santa Croce la domanda è la seguente: “è bene e moralmente importante continuare con la tradizione di sempre, o è ormai più opportuno e adeguato ai tempi ed alla realtà attuale l’accoglimento di una eventuale decisione delle Autorità civili e religiose locali rivolta a consentire i cortei funebri solo con gli automezzi?.” Magari, limitando i cortei pedonali di parenti, amici e conoscenti nel tratto stradale fino all’uscita del Paese, all’altezza di Largo Marina.
Anche nel caso di Ostra, come per quella comunità del Fermano, esiste il problema della viabilità e del passaggio degli automezzi durante il corteo, lungo il percorso da Largo Marina al Cimitero.Personalmente non credo che attuando questa nuova ipotesi vengano meno il rispetto per il defunto e la solidarietà verso i familiari e i parenti.

La Casa di Riposo

Un nuovo Consiglio di Amministrazione guida la Casa di Riposo di Ostra. Su questo giornalino ho esposto domande e suggerimenti al precedente Consiglio, senza ricevere, se non una risposta, almeno un segno di attenzione. Chiedevo per esempio perché non aprire, alla comunità e in particolare ai ragazzi, gli spazi verdi non utilizzati che circondano la Casa, magari sistemando e attrezzando, con il sostegno del Comune, lo storico campetto di gioco-calcio. Chiamando naturalmente i ragazzi al rispetto di regole di comportamento e di rispetto (una opportunità educativa per i giovani e di vicinanza agli anziani). Invece per quello spazio si è preferito fare un progetto di impianto fotovoltaico, costato qualche migliaia di euro (a proposito: chi paga?) che non ha avuto seguito.
Oltre al negato uso dello spazio del campetto a favore dei ragazzi, c’è un altro aspetto per il quale quell’impianto non andava realizzato: perché avrebbe pregiudicato l’eventuale ampliamento della Casa di Riposo, alla possibilità , nel prossimo futuro, di offrire una migliore sistemazione in camere singole ad anziani soli, ma abbastanza autonomi.
Al nuovo Consiglio rinnovo la proposta, ma soprattutto vorrei chiedere se la gestione dell’importante servizio e dei beni II.AA.BB. non riguardi tutta la comunità ostrense, così da dover rendere conto pubblicamente, almeno in Consiglio Comunale, del loro andamento, delle prospettive di sviluppo, delle problematiche che potrebbero essere meglio affrontate, magari con la collaborazione di associazioni e singoli cittadini ostrensi.
Bruno Landi

Viabilità: non ci siamo

La situazione della viabilità, in particolare nel centro storico, va ogni giorno peggiorando.
La materia, non c’è dubbio, è complessa e divide profondamente chi chiede che tutto resti così e chi invece pensa che sia più che mai necessario un intervento organico che metta fine al caos e al pericolo.
Sappiamo che dovrebbe essere nominata una Commissione che studi il problema e indichi le soluzioni. In attesa che la Commissione cominci i suoi lavori e presenti le sue indicazioni, è troppo chiedere che la segnaletica in essere nelle vie principali del centro storico venga rispettata?
Si potrebbe cominciare da qui. Il resto, almeno per il momento, può attendere.

Si parla molto di giovani

di Carla Raffaeli
Si parla molto di giovani e tutti si mostrano consapevoli che il futuro della vita politica, economica, sociale, culturale, così come la salute dell’ambiente, della terra intera, dipenderà dalla loro intelligenza, responsabilità, dal loro impegno, dalle belle energie che avremo, anche noi, saputo valorizzare creando condizioni favorevoli al loro sviluppo.Poi, c’è la Concluso il mio percorso di studi (laurea 3+2 in Economia e Commercio presso l’Università Politecnica delle Marche) ho voluto vivere un’esperienza formativa all’estero. Tornato in Italia da qualche mese, mi sono attivato nella ricerca di un’occupazione che fosse in linea con le conoscenze acquisite durante gli anni d’università. L’impatto con il mondo del lavoro non è stato facile e mi ritrovo tuttora inoccupato.Non riesco a capire quanto questa condizione dipenda dalla situazione economica contingente o da mie eventuali carenze e mancanze. Resta il fatto che un sistema, come quello italiano, basato ancora sulla raccomandazione e sulla conoscenza personale, non sarà mai efficiente quanto uno meritocratico.I criteri di selezione che non valorizzano l’eccellenza rappresentano però soltanto una parte del problema. Non bisogna dimenticare l’abuso di stage, tirocini e contratti di lavoro atipici, unito ad una formazione universitaria scadente e non in grado di preparare lo studente ad un immediato inserimento lavorativo.Al momento, continuo dunque a far parte dell’ormai nota categoria dei “bamboccioni”. Non mi sento però tale. Se potessi, se avessi cioè disponibilità economica certa (lavoro a tempo indeterminato per intenderci, o a tempo determinato ma con concrete prospettive future) non esiterei un istante ad uscire di casa alla ricerca di una sistemazione autonoma dalla mia famiglia.Un contributo di 500 euro al mese per aiutare i giovani? Non è questa la soluzione; si continua a nascondere la polvere sotto il tappeto.Attualmente, le prospettive occupazionali non sono sicuramente delle migliori sia in Italia che all’estero. Rimango comunque fiducioso sulla possibilità di trovare un lavoro in un prossimo futuro. Per mia natura sono piuttosto ottimista e, nonostante le problematiche evidenziate, credo che le cose possano cambiare. Spero di non sbagliarmi. (Marco Albani)realtà dei fatti, che purtroppo assai spesso contraddice la bontà delle parole e delle intenzioni. Di sicuro, la nostra è prevalentemente una società di anziani, con una visione assai chiara dei bisogni e delle forme di tutela dell’età matura. Noi adulti siamo cresciuti in tempi non facili, ma il nostro orizzonte era chiaro e alimentava fiducia: crescenti erano, per i più, le opportunità di studio, formazione, lavoro e, soprattutto, corrispondenti alle attese. Così abbiamo concentrato il nostro sguardo su questa realtà del momento senza porci il problema delle prospettive future, agendo come se le risorse fossero inesauribili e le opportunità acquisite per sempre. Oggi ci accorgiamo dell’errore sperimentando, più o meno direttamente, una crisi mondiale che nessun “esperto” della politica o della economia aveva previsto.Ma non voglio essere pessimista: ho grande fiducia nei giovani. E non è facile retorica. Il mondo giovanile che conosco direttamente è fatto di persone piene di risorse, vale a dire: preparazione, determinazione, responsabilità.In questo foglio vogliamo far ascoltare alcune delle loro voci approfondendo il tema introdotto da Nicoletta Principi nel precedente numero. Abbiamo così rivolto alcune domande a quattro giovani ostrensi.
1. Quale è stato il tuo percorso di formazione? (corso di studi, apprendistato, master, formazione all’estero…..)
2. Hai compiuto o stai svolgendo attività lavorative?
3. Quali sono le tue aspettative rispetto al lavoro presente o futuro?
4. Esistono, secondo te, buone prospettive per l’occupazione giovanile qui, nel luogo dove vivi, o altrove?
5. Cosa pensi di quanto dichiarato dal ministro Brunetta in relazione ai “bamboccioni” o al contributo di 500,00 euro per i giovani in cerca di un lavoro o di una sistemazione autonoma dalla famiglia?
Marco Albani:
concluso il mio percorso di studi (laurea 3+2 in Economia e Commercio presso l’Università Politecnica delle Marche) ho voluto vivere un’esperienza formativa all’estero. Tornato in Italia da qualche mese, mi sono attivato nella ricerca di un’occupazione che fosse in linea con le conoscenze acquisite durante gli anni d’università. L’impatto con il mondo del lavoro non è stato facile e mi ritrovo tuttora inoccupato.Non riesco a capire quanto questa condizione dipenda dalla situazione economica contingente o da mie eventuali carenze e mancanze. Resta il fatto che un sistema, come quello italiano, basato ancora sulla raccomandazione e sulla conoscenza personale, non sarà mai efficiente quanto uno meritocratico.I criteri di selezione che non valorizzano l’eccellenza rappresentano però soltanto una parte del problema. Non bisogna dimenticare l’abuso di stage, tirocini e contratti di lavoro atipici, unito ad una formazione universitaria scadente e non in grado di preparare lo studente ad un immediato inserimento lavorativo.Al momento, continuo dunque a far parte dell’ormai nota categoria dei “bamboccioni”. Non mi sento però tale. Se potessi, se avessi cioè disponibilità economica certa (lavoro a tempo indeterminato per intenderci, o a tempo determinato ma con concrete prospettive future) non esiterei un istante ad uscire di casa alla ricerca di una sistemazione autonoma dalla mia famiglia.Un contributo di 500 euro al mese per aiutare i giovani? Non è questa la soluzione; si continua a nascondere la polvere sotto il tappeto.Attualmente, le prospettive occupazionali non sono sicuramente delle migliori sia in Italia che all’estero. Rimango comunque fiducioso sulla possibilità di trovare un lavoro in un prossimo futuro. Per mia natura sono piuttosto ottimista e, nonostante le problematiche evidenziate, credo che le cose possano cambiare. Spero di non sbagliarmi.
Alessandro Regini:
ho studiato alla Facoltà di Economia dell'Università Politecnica delle Marche, dove ho conseguito prima la laurea triennale in Economia e Commercio (2006) e, ad aprile 2009, la laurea specialistica in Economia e Impresa. Da maggio ad agosto dello scorso anno ho svolto uno stage presso l'Ente Italiano del Turismo di Londra, esperienza bellissima di cui ho già avuto modo di parlare sulle pagine di questo giornalino. Al mio ritorno da Londra mi sono messo a cercare un'occupazione e ho iniziato uno stage di due mesi presso l'ufficio di Ancona della Deloitte & Touche, una delle principali realtà mondiali nel campo della revisione contabile e della consulenza. L'esperienza è stata molto positiva e, poco prima della conclusione, mi è stato offerto di stipulare un contratto di apprendistato biennale. Dall'11 gennaio scorso sono così diventato un dipendente a tutti gli effetti.Storicamente il settore della revisione è un'ottima "palestra" per i neolaureati ma ha un turnover elevato: sono cioè molti coloro i quali, dopo qualche anno di esperienza, mettono a frutto le competenze acquisite venendo assunti in altre società. Ciò è dovuto soprattutto agli intensi ritmi di lavoro, più indicati per un giovane piuttosto che per una persona con famiglia, fermo restando che, comunque, è possibile "fare carriera" anche all'interno di queste società.Al momento la mia intenzione è quella di svolgere al meglio i due anni di contratto che ho davanti e poi decidere se continuare in Deloitte oppure valutare eventuali altre opportunità.Sicuramente la crisi, qui come nel resto d'Italia, si è fatta sentire: basta aprire i quotidiani locali per leggere di aziende di ogni dimensione che che si trovano in difficoltà. Per dei laureati, in particolare, esistono certamente opportunità migliori in altre parti d'Italia, laddove le imprese sono maggiormente strutturate e possono impiegare in misura maggiore personale qualificato. La speranza è che la tanto annunciata ripartenza dell'economia migliori un po' le cose. La proposta dei 500 euro mi sembra volutamente provocatoria, lanciata per dare risalto ad una situazione di immobilismo che caratterizza molti giovani del nostro tempo. Se parliamo di "bamboccioni", ritengo che troppo spesso le famiglie non trasmettano ai ragazzi l'importanza del lavoro, viziandoli e abituandoli ad avere tutto per scontato. Diversa è la situazione di coloro che, pur con tanta volontà, non riescono a trovare un impiego: in questo caso, comunque, non mi sembra che un contributo economico simile possa risolvere la situazione.
Veronica Zacchilli:
la mia formazione è di tipo umanistico, dopo il Liceo Linguistico ho infatti conseguito una Laurea di I livello in 'Lingue Moderne Arti e Cultura' presso l'Università di Urbino 'Carlo Bo'.Grazie al progetto Erasmus ho trascorso il terzo anno del mio percorso universitario in Spagna. Nel 2008, superata la selezione, sono partita con destinazione Sydney per un tirocinio di tre mesi presso il Consolato d'Italia in Australia. Al momento sto frequentando un corso di 'Operatore della Salute e del Benessere' finanziato dal F.S.E.Durante gli ultimi anni delle scuole superiori e nel periodo universitario ho lavorato saltuariamente nel settore turistico e della ristorazione. Ho esperienza come commessa e hostess. Nel 2007 sono stata assunta per alcuni mesi presso l'Aereoporto di Falconara. In Australia, a Cairns, ho collaborato con un Ufficio Turistico locale. La scorsa estate ho invece lavorato come addetta alla reception presso un nuovo Camping senigalliese e al momento sono alla ricerca di un impiego.Nonostante il momento un po' critico spero di trovare un impiego che mi permetta di sfruttare le mie abilità linguistiche e comunicative, nel settore culturale o turistico. Un impiego che sia dinamico e stimolante e che, al contrario di quanto avviene spesso, mi permetta di seguire anche altre attività che per me sono importanti nella mia vita.Ritengo che l'offerta lavorativa locale indirizzata ai giovani sia piuttosto limitata, ma credo questo sia un problema che riguarda il nostro Paese in generale. L'Italia non punta molto sui giovani, basti pensare al fatto che il sistema scolastico-universitario è praticamente scollato dal mondo del lavoro e questo porta molti giovani a valutare opportunità più allettanti all'estero. Altri Paesi, come l'Australia, per esempio, adottano una politica diversa, improntata a spingere i giovani a buttarsi nel mondo lavorativo.Non ritengo la proposta di legge di Brunetta, né tanto meno i 500 euro mensili, una valida soluzione al problema dei 'bamboccioni'. I fattori per cui i ragazzi italiani tardano maggiormente a staccarsi dalla famiglia, rispetto a quanto avviene in altri Paesi, sono vari; a mio avviso c'è un' indubbia componente culturale ma la ragione principale è il lavoro. Credo sarebbe opportuno puntare maggiormente sull'introduzione dei giovani nel mercato del lavoro, prendendo spunto da Paesi come l'Olanda, che iniziano l'inserimento dei ragazzi in ambito lavorativo ancor prima che questi terminino il percorso di studi, attraverso tirocini regolarmente retribuiti. Soluzioni alternative sono possibili, perchè in Italia non ci pensiamo?
Nicoletta Principi:
di seguito, riporto la testimonianza di una ragazza ostrense di 35 anni (K.P.).“Avevo 14 anni e da poco completato gli studi della scuola media inferiore quando, accompagnata da mio padre, sono entrata nel mondo del lavoro, in una locale fabbrica tessile. Pensavo che il lavoro mi desse l’indipendenza che cercavo, almeno quella economica.Ora ho 35 anni e sono ancora alla ricerca di un lavoro, di quello stabile, che sia “per sempre”. In questi quasi 20 anni ho avuto molte esperienze lavorative, dalla fabbrica, che ho lasciato perché desideravo aprirmi al mondo, sono approdata nelle più disparate realtà: ho fatto la magazziniera, la fornaia, la banconiera in centri commerciali, la cameriera, la baby-sitter, l’assistente agli anziani e l’aiuto cuoca. Tutti impieghi accomunati da un triste fattore: erano lavori con contratti a tempo determinato, part-time, stagionale e anche “in nero”. Il più delle volte, ho scoperto solo dopo che il tipo di contratto stipulato con i datori di lavoro non garantiva le condizioni pattuite; tante promesse e pochi fatti! Ad esempio, nei contratti sono importanti le ore settimanali che come si dice in gergo “ti scaricano” perché se cumuli un certo numero di ore, chi come me lavora con contratti stagionali, ha diritto alle agevolazioni statali (c.d. disoccupazione ordinaria). Io quest’anno non sono riuscita a godere di tale diritto perché il mio datore di lavoro non ha rispettato i patti e non mi ha “scaricato” le ore necessarie.In questi anni ho frequentato anche corsi di formazione, perché sono cosciente che è importate studiare e formasi, ma purtroppo nella mia realtà sono serviti a poco. Sono comunque orgogliosa del percorso che ho fatto, del bagaglio di esperienza acquisita “sul campo” e sui libri ma mi sento delusa dall’attuale sistema del lavoro e non ho molte aspettative per noi giovani, né qui dove vivo né in altre realtà. Credo che sia importante avere dei contratti sicuri, che garantiscano contribuiti pensionistici giusti, che siano adeguati all’esperienza che le persone hanno maturato, così come credo servirebbe una preparazione al mondo del lavoro e in questo l’amministrazione locale potrebbe intervenire creando le condizioni per istaurare un dialogo tra i giovani in cerca di lavoro e chi offre, oppure organizzando dei corsi di formazione.La mia speranza è che qualcuno rivolga lo sguardo su noi giovani (non come il Ministro Brunetta, che promette cose a mio avviso non realizzabili), perché non è vero che non abbiamo voglia di lavorare, bensì spesso veniamo “sfruttati” e non considerati dai datori di lavoro, con la scusa che tanto siamo giovani!!”..