domenica 30 agosto 2009

Quando gli emigranti eravamo noi

di Carla Raffaeli

Noi italiani siamo stati un popolo di emigranti. E le Marche sono tra le regioni che hanno dato un contributo percentualmente rilevante al fenomeno, in particolare i piccoli centri dell’entroterra: Ostra non fa eccezione. Ho avuto in mano molti documenti che testimoniano soprattutto la grande emigrazione del primo Novecento, scrivendo, con Bruno Morbidelli ed altri, il libro “Ostra e la sua Banca, una storia di novant’anni”.
Ne voglio ricordare alcuni dati: tra il 1901 e il 1913, 873 mila emigranti partirono, soprattutto contadini delle Regioni del Centro sud, verso l’America Latina e gli Stati Uniti.
In buona misura si trattava di una emigrazione coordinata e organizzata dal Commissariato Generale dell’Emigrazione, che forniva informazioni e servizi di prima assistenza agli emigranti. In vari casi, tuttavia, il fenomeno non seguiva flussi organizzati e avveniva nella clandestinità; allora aumentavano i rischi e le difficoltà allo sbarco, circa la possibilità, per il clandestino, di trovare un lavoro, una casa. Drammatica, disumana, la condizione di chi non ce la faceva da solo e cadeva nelle sporche trame della malavita e dei profittatori. Ma da quella marea di uomini, donne, talora bambini, per lo più analfabeti, padroni solo di un dialetto locale ignoto agli altri, che chiedevano lavoro, venne un grande beneficio economico e finanziario al Paese di immigrazione. Al tempo stesso, giunsero in Italia, tra il 1907 e il 1910, rimesse che alcuni storici quantificano in 550 milioni di lire all’anno. E furono quei sudati risparmi a consentire al governo Giolitti di raggiungere il pareggio di bilancio.
Ad Ostra, tra il 1901 e il 1914, furono presentate 884 domande di passaporto per l’estero. Gli emigranti ostrensi erano diretti soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Argentina e in Brasile, in Germania, in Francia e in Austria.
Le guerre mondiali rallentarono l’esodo chiamando alle armi milioni di giovani e la ricostruzione post bellica richiese braccia al lavoro civile. Ma l’emigrazione non si fermò neppure in quei dopoguerra, fino a riprendere intensamente tra il 1959 e il 1972, considerata “un’opportunità di fronte al grave problema della disoccupazione”, come dichiarava il Sindaco di Ostra, Giovanni Bonventre, nella seduta consiliare del 30 luglio 1961. Proprio per effetto dell’emigrazione, Ostra registrava in quegli anni un decremento demografico fortissimo: da 7.263 a 5.875 abitanti. E a partire erano naturalmente i giovani, non ancora sposati o con i figli piccoli, lasciati generalmente alle cure di nonni e zii.
Ma i caratteri di questa seconda ondata migratoria sono molto diversi da quella precedente. Ora chi parte non se ne va definitivamente al di là dell’Oceano, ma nei Paesi europei appena oltre il confine, disposto a fare ogni sacrificio per garantirsi condizioni migliori di vita al momento del ritorno: una casa
nuova, l’acquisto del podere o, più ambita, una propria attività artigianale o commerciale.
E ancora una volta, i risparmi di anni di immane fatica e difficili condizioni di vita consentono a Ostra, alle Marche, all’Italia di modernizzare e accelerare lo sviluppo economico.
Ho ancora sotto gli occhi il mio registro di classe con il lungo elenco delle città straniere (belghe,tedesche, soprattutto svizzere) in cui erano nati i miei studenti.
Quante storie personali dentro questa fotografia di un nostro comune passato, lontano ma anche vicino! Mi piacerebbe ascoltarle e raccontarle, prima che le nostre nuove abitudini di vita ci facciano dimenticare da dove veniamo e ci rendano ostili, o semplicemente indifferenti, verso i nuovi immigrati.
Invitiamo l’Autorità a cancellare frasi che offendono e non fanno onore alla nostra comunità (le scritte si trovano in Via E. Medi (la tabella però non si vede, perché coperta dai rami di un albero).

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