venerdì 30 ottobre 2009

Benito Galli

Benito Galli è emigrato in Svizzera nel 1955 e vi è rimasto fino al 1964. Ricorda che, alla frontiera, gli emigranti venivano sottoposti a visita medica. Chi non era in buona salute non entrava in Svizzera. Appena arrivati, si doveva consegnare il passaporto in Comune e, in cambio, veniva rilasciato il “libretto stranieri”, dove erano annotati i lavori svolti.
Chi rimaneva momentaneamente senza lavoro, se veniva fermato dalla Polizia, doveva dimostrare di avere i soldi sufficienti per vivere, altrimenti veniva rispedito in Italia. Qui non c’era lavoro e comunque la paga era di 25 / 30 mila lire al mese. Lavorando in Svizzera, tolto quanto necessario per vitto e alloggio, si potevano mandare in Italia circa 120 mila lire al mese. La paga veniva data ogni 2 settimane (al martedì). Il lavoro era di 8 ore al giorno più mezza giornata del sabato (pagato come straordinario).
Se ci si comportava bene, e si era laboriosi, i datori di lavoro erano rispettosi dei dipendenti italiani ed a volte, a sorpresa, c’era anche un premio in busta paga. Chi invece tentava di rubare o si comportava male, veniva rispedito in Italia (con tanto di legnate). I colleghi svizzeri disprezzavano gli italiani emigranti ( “zingari” ). Per non perdere il lavoro, gli italiani non potevano neanche reagire perché passavano sempre dalla parte del torto.
All’inizio si dovevano fare i lavori più umili o più pesanti che gli svizzeri non volevano fare (esempio lavorare nelle cucine di grandi ristoranti, fare scavi in profondità nel terreno, con enorme fatica e rischi). Poi, con il tempo, si acquistava fiducia e referenze per trovare lavori sempre migliori. Un problema grave era quello della non conoscenza della lingua, il tedesco, che poi pian piano si imparava a parlare, almeno l’indispensabile.

(S. Neri)

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