venerdì 30 ottobre 2009

Ottavio Ruzziconi

Ottavio Ruzziconi parte per il Belgio nel 1971, a 26 anni, “con una valigia piccola piccola perché volevo restare solo pochi giorni”.
Ad attenderlo un fratello maggiore, Dario, che lavora in miniera, nei pressi di Liegi, dove c’è anche uno zio, fratello del babbo.
Ottavio cambia negli anni di permanenza in Belgio diversi mestieri. Riesce ad evitare la miniera, forse perché vede quanto sacrificio costa e quanta salute se ne va in un lavoro che, esperienza di suo zio e del suocero, “ti ammazza molto presto”.
Lavora in una fabbrica metallurgica, poi in una fonderia; fa una lunga esperienza di lavoro anche in una fabbrica di birra.
Del Belgio Ottavio serba comunque un buon ricordo, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle regole, dell’osservanza della disciplina, del fatto che tutto ciò che ti spettava ti veniva regolarmente dato.
Ottavio ci parla di “difficoltà molto relative” incontrate in Belgio. Difficoltà probabilmente attenuate dalla presenza di parenti, dal fatto che lassù incontra Palmira (già emigrata all’età di sei anni e che, avendo frequentato le scuole belghe, conosce bene la lingua) dalla quale avrà due figli, nati ambedue in Belgio.
Ottavio vuole imparare la lingua il più presto possibile: la parla sul posto di lavoro e non trascura neppure la lettura di qualche giornale in lingua francese.
Per la gente del posto, però, “eravamo sempre immigrati”, “sale italien”, (sporco italiano, traduce Palmira), se succedeva qualcosa la colpa era sempre degli italiani. Italiani forse anche un po’ troppo esuberanti, in specie con le donne, a causa delle quali nei locali da ballo non di rado ci scappava qualche scazzottata.
Del Belgio Ottavio serba comunque un buon ricordo, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle regole, dell’osservanza della disciplina, del fatto che tutto ciò che ti spettava ti veniva regolarmente dato.
(b.l.)

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